Banco di Napoli, la sacrosanta battaglia della Fondazione

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In foto Rossella Paliotto, presidente della Fondazione Banco di Napoli

Fa certamente bene la combattiva presidente della Fondazione Banco di Napoli, Rossella Paliotto, a pretendere dal ministero dell’Economia (ex Tesoro) un risarcimento da 1 miliardo di euro per l’esproprio che fu compiuto in un batter di ciglia nel 1996 a danno dell’intera comunità meridionale.
Allora, morto da due anni l’ultimo banchiere a difendere le ragioni del Mezzogiorno Ferdinando Ventriglia e sotto l’incalzare della retorica leghista che tutto al Sud fosse marcio, anche quello che al Nord era tollerato, si azzerò con un tratto di penna il valore delle azioni di un istituto di credito con 500 anni di storia.
Si trattò dell’atto conclusivo di una manovra ben studiata a tavolino, congegnata per togliere le castagne dal fuoco a un altro istituto di credito ben protetto politicamente – la Bnl – a cui il così umiliato Banco di Napoli fu ceduto in accoppiata con l’Ina al ridicolo prezzo di 61 miliardi di vecchie lire.
Vale a dire circa 30 milioni di euro. Nemmeno la stima di uno dei tanti palazzi posseduti nel mondo (magnifica la sede di New York) o di una porzione del patrimonio artistico accumulato dalla banca nei secoli in cui ha svolto il compito per il quale era stata concepita: accompagnare la crescita della società meridionale.
Che i 61 miliardi di lire o i 30 milioni di euro fossero una miseria per l’acquisto del Banco lo si può chiaramente dedurre dal prezzo pagato due anni più tardi dal Sanpaolo di Torino che per assicurarsi il boccone, diventato ghiotto d’improvviso, dovette sborsare la bella somma di 3.600 miliardi di lire.
Ora, appare chiaro ed evidente che un errore dev’esserci stato: o nella valutazione iniziale o in quella successiva. I due livelli sono troppo distanti per essere giustificati da un risanamento che in 48 mesi non poteva riuscire nemmeno con la bacchetta magica. Dunque, il Banco fu rubato e svenduto.
Oggi i legittimi proprietari, rappresentati dalla Fondazione che ne possedeva le azioni, chiedono giustizia. Il processo per arrivare all’ingiunzione di pagamento è partito da lontano e molti ostacoli ha incontrato sul suo cammino. Ma entra adesso nella fase conclusiva. E si vedrà se finalmente ci sarà giustizia.
Ad alimentare le aspettative della compagine napoletana c’è l’incredibile risultato della società statale – la Sga – cui fu demandato il compito di recuperare la montagna di crediti ritenuti inesigibili a riprova della cattiva conduzione della banca e quindi della sua totale perdita di valore.
I fatti hanno mostrato le trame dell’imbroglio. I crediti impossibili sono stati quasi tutti ripagati tanto che il soggetto incaricato della riscossione ha chiuso il suo mandato in attivo e con il nuovo nome di Amco è andata in soccorso delle banche venete che nel frattempo erano tecnicamente fallite.
Al danno conseguente al furto si aggiunse la beffa di un tracollo dell’economia locale dovuto all’improvvida e improvvisa chiusura dell’intervento straordinario che mise in ginocchio migliaia d’imprese cui il Banco aveva anticipato le risorse promesse da uno Stato che poi mancò di parola.
Non si trattò, dunque, né di cattiva gestione del credito né di slealtà di un’intera classe imprenditoriale come si raccontò per giustificare la mala azione perpetrata. Fu un delitto politico, pianificato e commissionato per condannare gli innocenti e salvare i colpevoli. In quel momento lo capirono in pochi.