Bambini assassini. Viaggio nel mondo dei minorenni a mano armata

E’ una lunga scia di sangue, ferocia e crudeltà, dove la violenza predomina e spesso sfocia in omicidio. Due minorenni, hanno accoltellato un coetaneo, venticinque fendenti, lo hanno lasciato agonizzante, recandosi in spiaggia dove hanno scattato un selfie. A Firenze, invece, un diciassettenne ha ucciso la nonna in casa, prima dà l’allarme e poi dopo ore di interrogatorio confessa. E’ la sola cronaca degli ultimi giorni. Spietati, incattiviti, rabbiosi, usano la violenza come arma di predominio e per intimorire, regolano i conti con la forza fisica, spaventano con l’uso delle armi, che armeggiano con disinvoltura e conoscenza, talvolta feriscono, in altre uccidono; amici, conoscenti e familiari, come se i sentimenti e i legami non abbiano alcun valore per loro. Bambini assassini, sembra un controsenso. I killer ora hanno il volto infantile e innocente. Non baby gang, ma singoli, insospettabili a prima vista. Dal Sud i baby killer sono l’ultima leva criminale dei clan. La manovalanza per rapine, estorsioni, spaccio di droga. E sono pronti a tutto, anche a uccidere. I clan, ora, arruolano i ragazzini. Poco più che bambini, vengono mandati al massacro dalle organizzazioni criminali: provano berette e kalashnikov. Sono l’ultima leva delle cosche del Sud Italia: minorenni arruolati sempre più spesso dai padrini dello stivale. Sino ad ora i clan li avevano rilegati a compiti secondari: postini della droga e vedette delle forze dell’ordine. Negli ultimi anni invece stanno diventando bambini soldato: hanno la pistola, rapinano, incassano il pizzo, difendono il territorio. E sono pronti ad uccidere. Se non li arruola la criminalità organizzata, hanno nell’indole la prevaricazione, il comando innato, e non accettano compromessi e negazione, a quella reagiscono con forza e violenza. I ragazzini di oggi sono pronti a imporsi e talvolta con ferocia. La violenza minorile è la preoccupazione degli ultimi anni, la noia che si trasforma in criminalità, un fenomeno che fa paura. Spaccano treni, seviziano barboni e anziani, sono sempre più piccoli, sempre più aggressivi, spesso armati e sempre più violenti. I tragici fatti di cronaca hanno riportato alla ribalta la complessità delle gestione dei minori che entrano nel circuito giudiziario: punire e rieducare. Gestione dei minori in carcere e la necessità di un approccio multidisciplinare per prevenire e affrontare la delinquenza giovanile. Le carceri minorili italiane hanno registrato egli ultimi tempi un aumento di detenuti: 61.43%, anche a seguito del Decreto Caivano. Un affanno per le strutture dislocate sul territorio nazionale ma anche per il personale che vi opera, che già sotto organico, si ritrova con difficoltà a fornire un adeguato supporto rieducativo ai giovani detenuti. La loro personalità è diversa da quello di un adulto e lo scopo principale della giustizia minorile deve essere quello di ridurre il rischio di recidiva e allo stesso tempo dare fiducia nel futuro, fornendo ai giovani gli strumenti necessari per reintegrarsi nella società in modo positivo. Le pene ci sono, il sistema giustizia seppur in affanno tutela, e nessuno può negare che si tratti di reati che vanno perseguiti, anche se compiuti da minori, i quali vanno fermati e resi responsabili delle azioni che hanno commesso. Ma la responsabilità di crescere minori nel rispetto degli altri, è altrettanto della società civile e di ciascuno per il ruolo che gli spetta, dalla famiglia alla scuola, fino alle istituzioni, investendo sulla prevenzione e non sulla repressione. Ci sono dei capi espiatori colpevoli di traviare le meni dei giovani: i videogiochi che rendono i ragazzi violenti, i social network con il loro apparire quando la realtà è diversa. Noia o forse mancanza di stimoli, tengono ancorati ai videogiochi o alla realtà alterata dei social i ragazzini? Disagio interiore e relazionale, ma anche lievi disturbi psichiatrici inosservati, incidono notevolmente su una personalità in formazione e assumono sembianze diverse e preoccupanti con l’adolescenza. La famiglia è cambiata, è innegabile, i genitori sono i primi presi dai social, corrono per il lavoro e le incombenze, e non si guarda più in faccia un figlio, il dialogo a tavola è sparito, tutti presi dal tempo che inganna le nostre vite, sguardi spesso puntati sui cellulari per rispondere agli amici, al gruppo creato per qualcosa, al lavoro. Genitori, che riversano soldi e regali anche fuori dalla loro portata per garantire il meglio al proprio figlio, una sorta di riscatto di ciò che non si è potuti avere nella propria crescita, ma funziona davvero? Eppure la cronaca ci dice quotidianamente come questa strategia educativa non funzioni ed è sempre più necessaria una regressione sana delle famiglie e dei genitori.