Bad bank e ripresa economica:
come liberare risorse per le Pmi

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Sbloccare la stretta creditizia e liberare risorse per imprese e famiglie: è questa una delle prime necessità del sistema bancario italiano schiacciato dai cosiddetti crediti inesigibili, verso cui si è Sbloccare la stretta creditizia e liberare risorse per imprese e famiglie: è questa una delle prime necessità del sistema bancario italiano schiacciato dai cosiddetti crediti inesigibili, verso cui si è finalmente deciso di operare concretamente. Si tratta di quelle operazioni finanziare erogate a famiglie e soprattutto imprese che vanno sotto il nome di “partite a rischio”, ovvero crediti che difficilmente torneranno in pancia agli istituti stessi. I crediti deteriorati si dividono in varie tipologie: gli scaduti, i ristrutturati, gli incagli e le sofferenze. Questi ultimi sono i crediti di difficilissimo recupero: si tratta di quei finanziamenti erogati a famiglie o imprese che non riescono più a pagare le rate. Quando un credito diventa deteriorato (ed entra in una di quelle fattispecie), la banca deve effettuare una rettifica di valore in bilancio. A seconda di quante siano le probabilità di recupero di quel credito, a seconda delle garanzie esistenti e a seconda del tempo passato dal pagamento dell’ultima rata, la banca deve effettuare maggiori o minori rettifiche. Così nasce il cosiddetto tasso di copertura: si tratta del rapporto tra le rettifiche di valore e il valore lordo del credito deteriorato. Una banca che ha 100 milioni di crediti deteriorati e li svaluta a 40, ha un tasso di copertura del 60%. Ovvio che un tasso di copertura elevato indica un atteggiamento prudente della banca: perché riduce la propria esposizione, incassando subito le perdite, su quel credito. Ridurre il tasso di copertura significa invece aumentare i rischi potenziali. Secondo le ultime stime dell’Abi, le sofferenze nette hanno sono all’incirca 350 miliardi di €, di cui una solo una parte minoritaria catalogabile come fisiologica all’attività bancaria. Una massa enorme di denaro che pesa sui bilanci e toglie operatività agli istituti. In base all’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale, la circolazione sanguigna del nostro corpo economico è costituita essenzialmente dal sistema bancario, su cui si fonda, a differenza degli altri Paesi, l’85% di tutte le attività finanziarie. Senza banche forti e dinamiche l’economia italiana muore. Le nostre banche non erano certo le prime del mondo ma la lunga crisi economica e l’adozione di regole di comportamento singolarmente severe ne hanno troppo indebolito il ruolo. Per effetto della crisi i crediti “deteriorati” sono cresciuti dal 5,5% del 2007 al 16% circa alla fine del 2014, mentre le regole di Basilea 3 hanno imposto alle banche un costoso sforzo di ricapitalizzazione, anche perché la Banca d’Italia ha creduto necessario applicare alle nostre banche criteri di comportamento più rigorosi di quelli imposti alle banche tedesche o francesi. Stretti in questa morsa infernale i nostri istituti di credito da un lato trovano sempre maggiori difficoltà ad approvvigionarsi delle risorse necessarie per fare credito alle imprese o sono costrette a farlo a prezzi molto più elevati dei propri concorrenti, data la mole dei crediti “deteriorati” e la diffidenza dei prestatori stranieri. Evidentemente tutto questo non può che rivolgersi a danno delle imprese alle quali viene negato il credito o, nei casi in cui sia disponibile, esso lo è a prezzi non sostenibili. Le strade al vaglio per sbloccare queste partite di finanziamenti per tornare a disporre di finanza fresca per le imprese sono sostanzialmente due: – Le cartolarizzazioni, ossia la vendita sul mercato di pacchetti di “Non Performing Loans” (Unicredit lo ha già fatto, Intesa lo farà a breve) che comportano una perdita secca per l’istituto, ma anche la possibilità di mettersi definitivamente alle spalle il problema e recuperare flessibilità gestionale. – La creazione di una “Bad bank” nel cui perimetro confinare tutti i crediti problematici in attesa di tempi migliori. Un modo per prendere tempo sperando che una prossima ripresa possa sistemare le cose. Lo fece, con successo, la Fed americana tra il 2008 e il 2009, allorchè acquistò a prezzi stracciati titoli tossici prelevandoli dai portafogli delle maggiori banche statunitensi per poi farci tangibili plusvalenze qualche anno dopo, quando si apprezzarono e furono rivenduti in un mercato risanato. Si guarda a quanto fatto in questi anni in Spagna e in Irlanda o in Svezia all’inizio degli anni ’90. In questi casi sono entrati in gioco lo Stato e i contribuenti che hanno aiutato le banche a superare le conseguenze delle loro scelte sbagliate. Nel lungo termine questa soluzione può anche non comportare perdite per lo Stato, in alcuni casi persino profitti. I rischi tuttavia esistono. Non a caso il ministero dell’Economia storce il naso e puntualizza: bene qualsiasi iniziativa che consenta di gestire meglio questi crediti malati purché non si coinvolgano le casse pubbliche. Perché e quando la bad bank conviene alle banche – Se qualcuno vi deve mille euro e alla scadenza del prestito non riesce a pagare avete due opzioni. Potete concedere altro tempo e continuare a pensare, forse a illudervi, e a raccontare in giro che tra qualche tempo riavrete i vostri soldi. Nel frattempo non potete però ovviamente usare quei soldi per fare altri prestiti e dovete metterne da parte altri se volete mantenere invariati i vostri risparmi. Se la situazione del debitore peggiora e siete quasi sicuri che i vostri mille euro non li rivedrete mai per intero potete dire “dammi 400€ subito e finiamola qui”. A quel punto incassate dei soldi ma anche una reale perdita di 600€ che vi costringe ad aggiornare la situazione delle vostre finanze. La bad bank a partecipazione pubblica è un po’ una via di mezzo tra le due soluzioni. La banca vende il prestito di mille euro in cambio, ipotizziamo, di 250€. Altri 250€ di “aiutino” li mette lo Stato. La banca riceve così 500€ mentre lo Stato diventa titolare del prestito. Sarà lui a farsi carico di recuperare tutto quel che è possibile, potendo magari anche permettersi scadenze meno pressanti, che diano più tempo al debitore per rimettersi in regola. La banca ha incassato dei soldi che può usare per erogare nuovi prestiti ma ha anche “ufficializzato” una perdita che compare a tutti gli effetti nei bilanci. Per questa ragione spesso la pulizia dai crediti dubbi viene accompagnata da una ricapitalizzazione effettuata anche con fondi pubblici. Questo schema è stato usato in Spagna nel 2012 con una struttura creata dal governo per assorbire crediti di cattiva qualità e immettere risorse fresche negli istituti. I soldi vengono sì anticipati dal fondo europeo ESM (European Stability Mechanism) ma alla fine il conto arriva alle casse pubbliche. L’operazione non ha riguardato le prime due banche del paese Santander e BBVA che stanno gestendo autonomamente lo smaltimento dei loro “non performnig loan”. Conviene anche allo Stato e ai cittadini? – Potrebbe finire bene o no. Lo Stato potrebbe riuscire a recuperare dai crediti deteriorati che si è accollato più di quanto li abbia pagati, specie se le condizioni generali dell’economia migliorano. Potrebbe incassare regolarmente tutti gli interessi sui fondi che ha immesso nelle banche per la loro ricapitalizzazione. Oppure, se la situazione peggiora, potrebbe finire per rimetterci dei soldi. Quello che è certo è che lo Stato anticipa i soldi che, attraverso meccanismi più o meno complessi, alla fine si trasformano in debito pubblico. Se l’intervento è consistente, potrebbe avere un effetto negativo anche sul rating del Paese e innescare un rialzo degli interessi pagati sui titoli pubblici. Spesso è difficile stimare esattamente l’ammontare di crediti dubbi di cui le banche devono disfarsi per ritornare ad una piena operatività che solitamente iniziano a diminuire 18/24 mesi dopo l’inizio della ripresa. Nel frattempo il fardello per le casse pubbliche può diventare davvero gravoso. Ci sono però anche dei potenziali benefici indiretti a favore dei cittadini. Se l’operazione ha successo, la gravità della crisi può risultare attenuata e i tempi di una ripresa possono essere effettivamente accelerati. Cosa cambia per chi chiede credito e per chi ha dei debiti – Ripulite e rinforzate, le banche dovrebbero essere pronte, almeno in teoria, per erogare nuovi finanziamenti. Gli indicatori patrimoniali migliorano, non serve più accantonare soldi per far fronte alle possibili perdite sui crediti in sofferenza. Nella pratica non tutto fila sempre così liscio. In Spagna ad esempio la creazione della bad bank ha sì salvato gli istituti beneficiari dalla bancarotta, ma sinora non ha avuto gli effetti sperati in termini di ripresa dei crediti all’economia. Per i debitori dei prestiti ceduti alla bad bank ci sono vantaggi e svantaggi. Per loro è possibile forse usufruire di scadenze più dilazionate ma se entrano in gioco soggetti specializzati nel recupero dei crediti è possibile che la pressione nei loro confronti diventi ancora più forte. Intesa Sanpaolo e Unicredit sembrano interessate in questo senso da un progetto realizzato col fondo americano Kkr per creare una Bad bank italiana. Privata e legata agli istituti interessati, giacchè l’ipotesi di una Bad bank nazionale e “di sistema” sembra ormai impraticabile. In sostanza, le bad banks vengono create ad hoc dagli istituti bancari in difficoltà che non riescono a smaltire grandi quantità di titoli tossici. Con questo strumento le banche si sdoppiano e cedono parte del proprio portafoglio ai nuovi veicoli societari che aiutano gli istituti di credito a depurarsi dalle perdite derivanti da crediti anomali, tossici e difficilmente esigibili. La bad bank gestisce i crediti anomali ricevuti, correndo tutti i rischi che ne conseguono e godendo, pertanto, degli eventuali rendimenti. Essendo poco sicura la loro realizzazione, i rendimenti risultano potenzialmente più alti. Un veicolo, dal capitale anche interamente privato, con garanzia statale sul debito che si troverebbe a dover contrarre per acquistare portafogli di crediti deteriorati dalle banche italiane. È una delle ultime ipotesi su cui si stanno portando avanti i negoziati tra l’Italia e la Commissione europea sul progetto di sistema per la gestione dei crediti problematici. Il dossier, come noto, è da settimane sul tavolo del governo. Banca d’Italia approva, gli istituti di credito aspettano con ansia, o comunque concordano sul fatto che senza un alleggerimento per l’appunto sistemico del capitolo sofferenze la ripartenza del credito sarà solo parziale, vista una mole di crediti deteriorati che c’è chi prevede possa superare i 350 miliardi entro fine anno, come ha recentemente dichiarato il d.g. di UniCredit, Roberto Nicastro. In particolare, in una call conference che nella mattinata ha visto collegati funzionari del Mef e di Via Nazionale con i colleghi della Commissione europea, si sarebbe ragionato sull’ipotesi – mutuata in parte dall’esperienza slovena – di una società veicolo chiamata ad acquistare direttamente dalle banche portafogli di crediti non performing in cambio di risorse reperite non dagli azionisti ma sul mercato, attraverso titoli di debito. Ed è qui che si collocherebbe la garanzia dello Stato, che non si farebbe così garante degli asset ma della solvibilità del veicolo: un ritocco, questo, rispetto agli schemi ipotizzati nelle settimane scorse che però potrebbe ridurre l’esborso pubblico (e dunque l’incidenza sul debito) e allontanare di un passaggio l’intervento statale dalle banche conferitarie, che continuerebbero così a beneficiare di un sostegno pubblico ma in via indiretta. Un meccanismo che potrebbe convincere i tecnici della Commissione europea a non considerare la misura un aiuto di stato, condizione essenziale perché tutte le banche possano partecipare all’operazione senza per questo risultare in ristrutturazione (e quindi sottoposte a una vigilanza più ristretta). In conclusione, i benefici della realizzazione di una bad bank a capitale pubblico, privato o misto, non possono prescindere dalla necessità che le banche adottino in futuro una politica di erogazione del credito improntata a criteri di trasparenza e di efficienza che di fatto, nel rispetto della normativa, vada nella direzione di non penalizzare quel sistema di imprese meritevoli di credito rispetto a chi non lo è. In tal modo si eviterebbe di vanificare i benefici connessi alla creazione della bad bank perché se è vero che la creazione della stessa costituisce una possibile soluzione ai “mali” derivanti dalla cattiva gestione passata, sarà un bene che quella futura non rifaccia più gli stessi errori.