Avvocati, alla scoperta dello Studio Anatriello di Napoli

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In foto Raffaele Anatriello

La nostra rivista oggi incontra, presso il Suo studio nel centro storico, l’Avvocato Raffaele Anatriello, giovane cassazionista partenopeo che, come vedremo, è riuscito a coniugare la professione forense con una intensa attività social diversificando in più campi i suoi interessi professionali.

G.: Avv. Anatriello benvenuto. Come è nata la Sua passione per la professione forense?

Avv.: A dire il vero credo che tale passione fosse inconsapevolmente presente in me già da piccolo. Tutti gli amici dei miei genitori, fin dall’età di 4/5 anni, nonostante non provenissi da una tradizione professionale in tal senso, data la mia spiccata “parlantina”, prevedevano un mio futuro da avvocato.

Il vero colpo di fulmine è scoccato, seppure ancora meno che adolescente, in occasione, purtroppo, dello scoppio del “caso Tortora”. Una straziante vicenda umana e giuridica che ha macchiato di ingiustizia per anni il nostro paese.  Tra l’altro, ricordo oggi, con maggior vigore, tale questione in occasione, purtroppo, della recente prematura scomparsa della figlia del famoso conduttore e giornalista, Silvia Tortora.  Seguendo il calvario di Tortora fino alla sua piena assoluzione e prematura dipartita, è sorto, crescendo nel tempo, un profondo senso di giustizia e del necessario ruolo dell’avvocato in qualunque sistema giuridico. Ricordo, ancora oggi, a distanza di tanti anni, la mia commozione al ritorno in TV di Tortora ed alla sua celeberrima frase “Dove eravamo rimasti?”. Probabilmente, se non vi fosse stato il caso Tortora, oggi non sarei un avvocato. 

G.: Quando e come ha iniziato la sua attività?

Avv.: Ho iniziato la pratica forense nel 1993 quando ero ancora uno studente universitario. Fu mio padre a spingermi in tal senso dicendomi che avendo più volte espresso il desiderio di intraprendere la professione forense, sarebbe stato utile provare a svolgerla davvero prima della laurea per capire se effettivamente la “vita da avvocato” corrispondeva, nella realtà, alle mie aspettative. “Meglio laurearsi un anno in ritardo, ma avere le idee chiare che laurearsi un anno prima e rimanere poi prigioniero di un lavoro insoddisfacente” queste le sagge parole di mio padre.

Oggi devo dire che a distanza di tanti anni, quello è stato il consiglio migliore che io avessi mai ricevuto e, se mi permette, è un consiglio che vorrei traferire anche a tutti i giovani che intendono intraprendere una qualsiasi attività professionale. Cominciare prima possibile, meglio ancora già durante il percorso universitario, onde vivere una professione per ben comprendere quale vita si va ad “abbracciare”.

G.: Una volta laureato come si è dipanata la sua attività?

Avv.: Mi dividevo tra la pratica forense, la scuola di specializzazione in diritto Amministrativo ed il Servizio Civile presso l’Unione Italiana Ciechi di Napoli.   

G.: Quindi dopo la laurea ha continuato i suoi studi?

Avv.: Sì, ho frequentato per tre anni la scuola di specializzazione in Diritto Amministrativo e scienza dell’amministrazione e, successivamente, per un anno il Corso di perfezionamento in Amministrazione e finanza degli Enti Locali, entrambi presso l’Università Federico II.

Il prolungamento e l’approfondimento degli studi mi ha permesso, poi, di entrare, sommessamente, anche nel mondo accademico intraprendendo, così, anche l’esperienza dell’insegnamento.

Infatti, per diversi anni ho avuto la possibilità di collaborare con le cattedre di Diritto Costituzionale, presieduta all’epoca dal prof. Paolo Tesauro e con la cattedra di Diritto Regionale presso la scuola di specializzazione in diritto amministrativo, presieduta dal Prof. Vincenzo Colalillo che poi è stato uno dei miei più grandi maestri.

Grazie ai citati maestri ho anche avuto la possibilità di partecipare alla redazione di alcuni testi e dispense utilizzate per le lezioni di diritto regionale.

L’esperienza dell’insegnamento è poi ulteriormente proseguita quale docente ad un corso professionale tenuto presso l’Università Popolare di Napoli. 

G.: Pocanzi faceva riferimento alla sua esperienza presso l’Unione Italiana Ciechi di Napoli, che esperienza è stata e come ha influito nella sua professione?

Avv.: Beh è stata una grandissima esperienza prima di tutto “umana”. Mi ha permesso di conoscere dall’interno un mondo che solo apparentemente credevo di comprendere.

Dopo l’anno di servizio civile non ho più abbandonato quel mondo ed ormai sono quasi 30 anni che assisto gratuitamente i soci dell’Unione Ciechi di Napoli. 

Credo che “umanizzare” la professione forense sia un valore aggiunto che non ha prezzo. Avere gli strumenti cognitivi e culturali per tutelare i diritti e gli interessi di soggetti fragili conferisce a questa professione un aspetto aulico che arricchisce sotto tutti i punti di vista.

G.: Sempre nell’ottica dell’“arricchimento umano” svolge attività di assistenza gratuita anche presso altri Enti partenopei o, comunque, fa parte associazioni benefiche? 

Avv.: Sì, svolgo attività di assistenza gratuita ai quasi 2000 soci del Circolo ILVA Bagnoli di Napoli e della ANCR di Napoli. Tra l’altro faccio parte dei difensori iscritti nel registro del Gratuito Patrocinio, per cui, ove vi siano i presupposti, anche i giudizi eventualmente incardinati sono gratuiti per miei assistiti.

Di recente ho avuto il grande onore di essere ammesso a far parte del Corpo Internazionale di Soccorso Costantiniano che si occupa di grandi opere di solidarietà ed assistenza e dove spero di poter dare un aiuto sempre più fattivo e costante.

G.: Nell’incontro preliminare mi accennava che svolge anche l’attività di mediatore? In cosa consiste?

Avv.: Sì, un’attività che mi appassiona moltissimo e che mi permette di conoscere, attraverso il confronto con le parti, sempre più aspetti e sfaccettature delle varie questioni giuridiche.

Inoltre avendo un contatto diretto con le parti che entrano in mediazione, posso dare il mio contributo affinché si arrivi ad una risoluzione bonaria delle controversie prima che le stesse sfocino in giudizi lunghi e a volte anche “dolorosi”, quando ad esempio si parla di controversie tra parenti. Ecco, in questi casi, nonostante io sia un avvocato, il mio motto è: “La migliore causa è quella che non si fa.” 

G.: Un avvocato “sui generis” dunque. Dove svolge la sua attività di mediatore?

Avv.: Sono mediatore presso l’Organismo di Mediazione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli e, di recente, ho avuto la fortuna e l’onore di ottenere l’incarico di conciliatore presso il Co.Re.Com. Campania che si occupa di dirimere controversie stragiudiziali nel settore della telefonia e delle piattaforme informatiche. 

Questa nuova esperienza mi ha permesso di addentrarmi ancor di più nei rapporti umani che poi rappresentano gli aspetti più stimolanti della professione.

Peraltro, proprio di recente, nel mese di gennaio, sono entrato a far parte del Dipartimento tematico Nazionale sulla ADR del Movimento Forense. Occasione questa che mi permetterà, spero, ulteriormente di crescere in tale materia attraverso il confronto a livello nazionale con altri Colleghi.

G.: Non mi dica che abbiamo completato le sue esperienze?

Avv.: A dire il vero, per alcuni anni ho fatto parte della Commissione sul Processo Civile del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli. 

Inoltre, sono stato relatore in alcuni convegni ed eventi formativi in materia condominiale e di “impatto acustico”.

G.: Siamo quasi alla fine del nostro incontro. Come immagina il suo futuro professionale?

Avv.: Beh, oggi giorno la professione forense sta attraversando un periodo complicato, ma spero di mantenere sempre lo stesso entusiasmo e di continuare a “divertirmi” svolgendo la mia attività che considero in senso pieno una “professione”, ovvero un vero e proprio “modo di vivere”.

G.: Che consiglio si sente di dare ai giovani procuratori che si affacciano alla professione forense?   

Avv.: Parafrasando il grande Calamandrei: “L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione, di carità” . Ed, aggiungerei io, di grande, grandissima fatica e sacrificio. Pertanto, oltre che di studiare il più possibile, sempre e comunque, perché serve a prescindere dalle scelte che si faranno, il mio modesto consiglio è quello di cercare di comprendere prima possibile se si ama o meno questa professione. Perché quella dell’Avvocato è probabilmente la più bella e seducente delle professioni, ma se non si ama profondamente, se non scocca la scintilla, enormi saranno le pene. Ciò vale, purtroppo, specie al sud e specie in questo momento di profonda crisi che ci sta attanagliando il nostro Paese. 

G.: Una vera e propria dichiarazione d’amore, come definirebbe essere un avvocato?

Avv.: Essere un avvocato, a mio modesto avviso, è unire cuore e cervello, cultura e sensibilità, preparazione e comprensione, empatia delle vicende umane.

G.: Diamo un in bocca al lupo ai giovani che si affacciano alla professione di Avvocato!

Avv.: Certamente! Un grande in bocca al lupo a tutti i giovani Colleghi che si affacciano a questa splendida ed affascinante professione.

Paolo Pantani