Aumentano redditi e consumi ma la fiducia è sotto i piedi

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Da oggi aumenta la bolletta della luce (+2,8%), ma diminuiscono i prezzi del gas (-(2,9%). Con l’avvicinarsi dell’estate (beninteso soltanto dal punto di vista astronomico, perché il caldo – come ben sapete – sta facendo sfracelli, soprattutto al di qua del Garigliano) puntuali arrivano anche gli aumenti dei prezzi dei trasporti. Il rincaro dei biglietti aerei è del 10,5% rispetto al mese di maggio, addirittura del 22,7% su base annua. Aumenta anche il trasporto marittimo (+1,1% sul mese, +36,3% sull’anno) mentre per i treni si registra, da un lato, un calo congiunturale (-2,1%) e, dall’altro, un rincaro tendenziale del 9,3% rispetto a giugno 2016. 

A stare dietro i dati statistici si rischia, però, di perdere la testa. Gli aumenti dei prezzi se vengono compresi sotto la voce complessiva di inflazione non necessariamente rappresentano una brutta cosa. In genere, l’aumento si accompagna infatti alla migliorata capacità di spesa delle famiglie; se però è riferito alle sole tariffe, come in questo caso, il giudizio cambia.
Ad ogni modo, l’Istat dice che redditi e consumi sono effettivamente in rialzo. E precisamente che nel primo trimestre del 2017 il reddito disponibile delle famiglie è aumentato dell’1,5% rispetto al trimestre precedente, mentre i consumi sono cresciuti dell’1,3%. Quanto al potere d’acquisto delle famiglie, è cresciuto dello 0,8% nel primo trimestre del 2017 rispetto al trimestre precedente, quando si era registrato invece un calo. Su base annua segna un rialzo dell’1,2%. Ma dice pure che la pressione fiscale nel primo trimestre del 2017 è stata pari al 38,9%, in aumento dello 0,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Sia chiaro: tutte le principali centrali di osservazione concordano col dire che il Pil (vale a dire, la misura del benessere e della ricchezza) è visto in crescita. Da ultimo anche il Centro studi di Confindustria (Csc) che infatti rivede al rialzo le stime per il 2017 portandole a +1,3% contro il precedente +0,8%. E, tuttavia, la sensazione generale è che qualcosa non quadri. Intanto, “perché non bisogna” dimenticare – è sempre il Csc che lo scrive – che in Italia ci sono “7,7 milioni di persone cui manca il lavoro, in tutto o in parte”. Ma, lasciamo perdere questo aspetto.
Il fatto è che l’Italia risente inevitabilmente del clima di fiducia che si respira in Europa. E la fiducia, all’interno dell’Unione, migliora sia con riguardo ai consumatori e sia ai produttori. Anzi tocca i massimi da prima della crisi. L’indice, infatti, è salito a 111,1 punti, contro i 109,2 di maggio, ed è molto superiore alle attese degli analisti intervistati dall’agenzia Bloomberg, che puntavano su 109,5 punti. A giugno, inoltre, l’indicatore del sentimento economico (ESI) della Commissione Ue è aumentato di 1,9 punti nella zona euro e di 1,6 punti nella Ue-28, raggiungendo il livello più alto dall’agosto 2007. L’ESI è cresciuto soprattutto in Germania (+2,4), Francia (+2,2) e Olanda (+1,6), e leggermente in Spagna (+0,5). E in Italia? È questo il punto: in Italia è rimasto piatto. Comprenderne le ragioni, probabilmente, non è difficile: almeno stando alle notizie cui più di tutte sono state riservate, in questa settimana, maggiori pagine di giornali e minuti di radio e tivvù.
Dall’analisi infinita del voto delle elezioni amministrative, per esempio, in cui al solito nessuno mai effettivamente vince o perde, l’unico dato certo che è emerso è quello relativo alla diserzione dal voto. Al ballottaggio sono andati a votare solo il 46,02% (meno della metà) degli elettori (-12% rispetto alla volta precedente). Ma su quest’aspetto si è poco riflettuto negli ambienti. Così come poco ha interessato il fatto che, sulle proiezioni di questi dati in campo nazionale, nessun partito avrebbe la maggioranza in Parlamento. Una situazione – ho il sospetto – che ha fatto gongolare non pochi partiti, sicuramente quelli che aspirano in ogni circostanza al ruolo di ago della bilancia.
C’è poi la questione immigrati, su cui però non vale più la pena di soffermarsi. Il Paese è sotto l’onda di un’invasione incontenibile, ma ci voleva la netta posizione del presidente francese Emmanuel Macron (“aiuti solo per i richiedenti asilo”) per indurre la sinistra a riscoprire la parola identità. Anzi, a fare agitare al presidente del Pd ed ex premier, Matteo Renzi, il pericolo che si accompagna al “multiculturalismo”.
Infine, c’è il bail out (salvataggio dall’esterno, in questo caso di Stato) delle banche venete, che costerà ai contribuenti, ai quali è stata risparmiata – sembrerebbe – il peso di una manovra fiscale decisamente più leggera, la bella cifra di 17 miliardi di euro. Il costo della spesa militare italiana di un anno. E vi risparmio in proposito i commenti della solita Germania. E non solo.