Aumentano le donne manager ma calano le nascite. Contro la detanalità più incentivi alle famiglie

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in foto Elena Di Giovanni, vicepresidente e co-fondatrice di Comin & Partners

Nascite in calo, scarso supporto alle imprese e alle lavoratrici e pressioni sociali sulle donne ritenute responsabili della denatalità: questi i temi attorno ai quali si è sviluppato il confronto promosso da Comin & Partners dal titolo “Family Affairs. La denatalità tra tutela del lavoro e scelte consapevoli”, tenutosi ieri, lunedì 6 marzo, presso gli uffici romani della società di consulenza strategica di comunicazione.
La tavola rotonda, alla presenza di Alice Buonguerrieriavvocata e deputata membro della Commissione giustizia, ha visto l’intervento di rappresentanti delle imprese, delle associazioni, dei media e del mondo sanitario, con l’intento di affrontare un argomento complesso e sfaccettato, da diverse angolature.
Secondo gli ultimi dati dell’Istat, nel 2021 si è registrato un ulteriore calo delle nascite in Italia, con meno di 400mila nuovi nati e un tasso di natalità tra i più bassi d’Europa. Parallelamente, un’indagine condotta da Manageritalia ha registrato un aumento del 13,5% delle donne manager (rispetto al 3,6% degli uomini) tra i dirigenti del settore privato.
Sono dati che segnalano il collegamento tra lavoro e genitorialità e sottolineano l’importanza di promuovere politiche che favoriscano un ambiente lavorativo e sociale che permetta alle donne di conciliare maternità e vita professionale.
Durante la moderazione della tavola rotonda, Elena Di GiovanniVicepresidente e Co-fondatrice di Comin & Partners, ha così dichiarato: “Diversi fattori possono influire sulla scelta di non procreare che può essere quindi condizionata da alcuni ostacoli economici e sociali. Spesso c’è la pressione di un gender gap ancora incisivo nel mondo del lavoro, che può far percepire la maternità come uno svantaggio lungo il percorso, e un sostegno ancora insufficiente alle famiglie in termini di incentivi. Mi auspico che nel Codice Appalti sia reinserito il riferimento alla parità di genere per valorizzare le lavoratrici come risorsa fondamentale per il Paese. Serve una riflessione comune per tutelare le donne e promuovere maggior equilibrio tra vita professionale e familiare”.

Il dibattito
“La community di 200 mila persone con cui ogni giorno mi confronto mi ha permesso di portare oggi alcuni spunti di riflessione sulla maternità. Nonostante la società abbia fatto passi in avanti, viviamo ancora in una realtà dove vige l’ideale della madre perfetta e protettrice della casa: un’etichetta ben radicata nella nostra cultura che spesso porta la donna a una condizione di abbandono e sacrificio”, ha dichiarato Alessandra Bellasio, ostetrica e fondatrice di Unimamma.it, “Risulta necessario un cambio culturale che permetta alle madri di continuare a essere donne libere di fare le proprie scelte e non più sole ma supportate da una rete che includa il partner e la società tutta, a partire dalle Istituzioni”.

Proprio le istituzioni attualmente hanno al centro dei loro dossier le tematiche legate alla maternità e alla natalità.  “I lavori sul Codice Appalti – ha osservato Alice Buonguerrieri – sono ancora in corso e rispetto alla preoccupazione sulla sparizione della certificazione di parità di genere, ci sono diversi articoli nello schema di Decreto che posso rassicurare in questo senso. Famiglia, pari opportunità e natalità, infatti, sono al centro dell’azione politica del governo. Il governo Meloni ha dato segnali chiari, nonostante il poco tempo e le poche risorse a disposizione. 1 miliardo e 500 milioni, questo è un investimento che testimonia una scelta chiara a favore di famiglia e pari opportunità e come rimedio alla denatalità. Non solo: assegno unico per i figli, riduzione dell’iva e agevolazione all’acquisto della prima casa, detassazione per le assunzioni di giovani, provvedimenti come il congedo di maternità, tradurre i contratti a tempo pieno in part time o il lavoro agile. Queste misure tracciano la via e indicano una visione politica definita: la maternità deve continuare a essere un fattore premiante”.

Per Luca Cifoni, giornalista e autore, “i numeri riguardo la denatalità sono critici e riguardano tutti. Tra le 9 soluzioni che propongo nel libro scritto con Diodato Pirone c’è quella di creare un linguaggio nel dibattito pubblico per favorire un confronto sul tema. Ci siamo portati dietro il tabù delle politiche sulla natalità legate al fascismo. Il problema invece è del Paese in toto. L’altro elemento è del linguaggio “privato”. Siamo disabituati a parlare di bambini. Bisogna parlarne delle famiglie, nelle aziende per recuperare una dimensione della natalità pubblica e privata. Gli aiuti pubblici, poi, sono fondamentali. Per arrivare ai livelli virtuosi della Germania bisognerebbe aumentare del 50% le risorse. Il mondo del lavoro influisce molto, soprattutto la precarietà. I giovani escono di casa tardi e fanno figli tardi. Inoltre, i dati dimostrano che in Italia le donne che lavorano in un contesto stabile sono più propense a fare figli. C’è voglia di famiglia e questa va aiutata, anche attraverso la procreazione assistita, le adozioni…Non possiamo permetterci di lasciare fuori nessuno”.

“Con la denatalità ci comportiamo come con l’ambiente: tutti conoscono il problema e ne parlano ma nessuno agisce – ha detto Gigi De Palo, Presidente Nazionale del Forum delle Associazioni Familiari e della Fondazione per la Natalità –. Gli Stati generali della Natalità nascono per invertire questa tendenza, altrimenti ci renderemo conto del problema quando vedremo gli effetti sul Pil, sulle pensioni e sul sistema sanitario nazionale, e sarà troppo tardi. Ora è il momento di agire per non pagare conseguenze più gravi in futuro. Bisogna mettere il tema della natalità in cima all’agenda del ministro dell’economia invece di creare un ministero della natalità. Al momento, la nascita di un figlio è la seconda causa di povertà. Un bambino da 0 a 18 anni costa 170mila euro di media e questo fa vedere un figlio come una minaccia. E’ necessario cambiare la narrazione e mettere l’accento sulla bellezza di procreare e accudire i figli. La natalità deve essere occasione di dialogo e non di scontro”.

Luisa QuartaCoordinatrice Gruppo Donne Manageritalia ha ricordato che “le aziende stanno facendo tanto per incentivare la natalità. Le donne nel mondo del lavoro iniziano ad avere ruoli importanti e c’è in atto un cambio culturale. I numeri, infatti, sono confortanti: nel terziario, per esempio, a fronte di un aumento del 8,3% della managerialità, si registra un +12% di donne manager. Le donne, però, hanno ancora paura di avere un figlio e di comunicarlo. La maternità non è un dramma ma pone un problema organizzativo che può scomparire con la cultura di una genitorialità sana e condivisa. Il figlio è di entrambi i genitori, non solo della donna. Un lavoro che vada più per obiettivi e merito aiuterebbe sicuramente a superare la discriminazione sulle donne che si assentano dal lavoro, oltre che un dialogo aperto in azienda sulla genitorialità. C’è voglia di essere genitori. In altri Paesi vicini a noi come la Spagna i sostegni sono molto maggiori. E’ chiaro che anche noi possiamo fare di più”.

Linda Laura SabbadiniDirettrice del Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione statistica Istat, ha affermato: “Il Paese già da tempo soffre di una permanente denatalità, a causa soprattutto della condizione sociale e occupazionale che ha influito in modo importante sulle scelte dei giovani. L’assenza di politiche adeguate e di sostegno ha poi aggravato la situazione. Spesso costrette a lavorare part time o a lasciare il lavoro dopo un figlio, le donne entrano in un processo di autonomia economica a rischio. Secondo le previsioni demografiche da qua a 30 anni le persone in età lavorativa saranno 9 milioni in meno. E’ dunque fondamentale agire su due fronti: da un lato, sostenere attraverso sussidi e incentivi coloro che scelgono di fare un figlio e, dall’altro, gestire in modo intelligente la questione delle migrazioni tramite un processo di integrazione adeguato”. 

in foto un momento del dibattito