New York è più bella con un nuovo museo, The Met Breuer. Da domani 18 marzo l’ala di Arte Moderna e Contemporanea del Metropolitan Museum of Art trasloca e si mette in mostra nella vecchia sede del Whitney Museum, all’angolo della 75esima Strada su Madison Avenue. L’esordio è affidato a due rassegne, Unfinished: Thoughts Left Visible e l’indiana Nasreen Mohamedi, per un totale di oltre trecento capolavori.
Il Breuer fresco di trucco, si rimette in gioco. Lo storico monumento dell’Upper East Side, a nord di Manhattan, noto per mezzo secolo come Whitney Museum of American Art prima di togliere le tende e trasferirsi più a sud nel Meat Packing District, riapre al pubblico come avamposto del Metropolitan Museum of Art. Il nuovo The Met Breuer [met broier] che prende il nome dall’architetto che lo progettò, Marcel Breuer, ospiterà rassegne di Arte Moderna e Contemporanea “per conto” del Metropolitan Museum of Art. Tanto è vero che quest’ultimo ha firmato un contratto di affitto per 8 anni. Periodo in cui sarà ristrutturata l’ala riservata all’Arte del XX e XXI Secolo della sede principale affacciata su Central Park, e nel frattempo l’ex Whitney di Madison Avenue si assicura di rimanere museo. “Il programma del The Met Breuer intende puntare i riflettori su un dialogo innovativo tra l’Arte Moderna e Contemporanea con le opere storiche della imponente collezione a disposizione del Metropolitan Museum of Art”, ha detto il direttore del Met, Thomas Campbell, durante la conferenza stampa di inaugurazione.
Due le mostre inaugurali in esposizione fino al 4 settembre 2016, la prima, Unfinished:Thoughts Left Visible e la seconda dedicata all’artista indiana Nasreen Mohamedi, che con 130 opere tra dipinti, disegni e foto risulta la più grande finora allestita in onore dell’autrice del Modernismo Puro.
La rassegna maggiore, Unfinished: Thoughts Left Visible, mette in luce il peso di una domanda che tutti gli artisti si pongono: quando l’opera è completa e si può considerare finita? Ben 190 capolavori che attraversano più di 550 anni e offrono una prospettiva affascinante di come si evolve un’opera d’arte. La stessa domanda che affliggeva Tiziano nel XVI Secolo potrebbe aver perseguitato Jackson Pollock negli Anni Quaranta. La mostra prende in esame il “non finito” nel suo significato più ampio, per cui un’opera può risultare incompleta per questioni non legate al volere dell’artista, oppure per scelta puramente stilistica, perché volutamente esempio di irrisolto e senza limiti precisi. L’americana Janine Antoni con “Lick and Lather” (“Lecca e Insapona”) ad esempio, mette in scena due busti scolpiti, uno fatto di cioccolato e l’altro di sapone. Queste sono sculture essenzialmente destinate a decomporsi e in tal caso l’artista si chiede: l’opera è finita nel giorno in cui è stata terminata oppure nel giorno in cui cessa di esistere?
Il concetto dunque spazia dai maestri del Rinascimento fino a quelli contemporanei. Al terzo dei cinque piani, apre la mostra uno splendido gruppo di tele tutte italiane. Il capolavoro di Michelangelo, “Studio della Sibilla Libica” in gessetto rosso, affianca “La Scapigliata”, meraviglia ritenuta incompiuta e realizzata da Leonardo da Vinci a cavallo del XVI Secolo, seguita da un altro stupefacente schizzo per le due versioni del dipinto “La Vergine delle Rocce”, anche questo di Leonardo.
Al piano più alto, l’arte parla un linguaggio solo più recente. Picasso è in sintonia con Cézanne, Pollock e Warhol in dialogo con Janine Antoni e l’artista cubano Felix Gonzales-Torres, le cui caramelle colorate hanno riempito le pagine di Instagram. L’opera di quest’ultimo, “Untitled”, è essenzialmente un mucchio di 80 chili di bonbon, che ai visitatori è permesso prendere. L’installazione dal 1991 è stata esposta in diverse occasioni e il suo significato va oltre il crepitio delle carta colorata. Il senso dell’opera infatti è molto intimo. Il mucchio, che lentamente decresce fino a terminare, rispecchia gli ultimi anni di vita del compagno di Gonzales-Torres, Ross Laycock, morto di AIDS. L’opera termina con la fine delle caramelle? Oppure riesporla fa sì che questa non si completi mai?
Il Whitney Museum fu fondato nel 1931 da Gertrude Vanderbilt Whitney, una ricca mecenate amante della mondanità, e il primo spazio fu aperto nel Greenwich Village. La sede progettata da Breuer invece fu inaugurata nel settembre 1966 alla presenza di Jacqueline Kennedy, allora presidente del consiglio di amministrazione del museo. Definito all’inizio “il più brutto” di tutti gli edifici di Manhattan, nel corso del tempo la sua forma squadrata con le finestre asimmetriche e il cemento a vista, è diventato un tratto distintivo in una zona di boutique eleganti e più armoniosi palazzi del Dopoguerra. Nel corso degli anni lo spazio di esposizione si è spesso rivelato piccolo e scomodo però, e dopo una serie di piani fallimentari, nel 2004 fu affidato a Renzo Piano il progetto per un’altra sede. Il nuovo Whitney Museum of Modern Art sulle rive del fiume Hudson fu inaugurato il 1 maggio del 2015.