di Rosina Musella
Anna Faiola, 27 anni, ha già all’attivo il romanzo “Ho chiesto rifugio al mondo” pubblicato nel 2018 con La Gru. È laureata in legge ma da sempre ama scrivere e raccontare storie e da diversi anni è proprio la scrittura ad occupare gran parte della sua vita. Lo scorso novembre con Eretica ha pubblicato il suo secondo romanzo “Arriverà anche domani”, in cui le storie di tre diversi personaggi si muovono sullo sfondo dei paesaggi toscani: Nick l’improvvisato assistente di Dio, Beth una pianista sorda, Mindy una scrittrice che si finge scomparsa. Tre personaggi che raccontano la propria storia e anche un po’ quella di Anna, che attraverso di loro lancia ai lettori un messaggio di speranza verso un mondo più consapevole e altruista.
In questa intervista ci ha parlato del suo amore per la scrittura, della sua evoluzione come autrice e del messaggio che ha voluto veicolare con la sua ultima opera.
Quando ha iniziato a scrivere?
Mi sono avvicinata alla scrittura verso il terzo anno di liceo. In quel periodo ero in fissa con “Anna dai capelli rossi” e quando scelsi per un compito in classe la traccia libera “Raccontare una storia immaginando di essere un’altra persona”, finsi di essere Anna. Dopo la correzione la professoressa mi chiese se fossi effettivamente orfana, perché ciò che avevo scritto era raccontato in maniera così dettagliata da sembrare reale. Da quel momento capii che quella poteva essere la mia strada, anche perché mentre scrivevo immedesimandomi in Anna mi sentivo come mai prima.
Come è arrivata alla pubblicazione del suo primo romanzo?
Ho avuto un rapporto conflittuale col mio percorso di studi. Volevo studiare Lettere, ma i miei mi dissero che non c’era lavoro in quel campo e, non avendo il coraggio di dissentire, mi iscrissi a Giurisprudenza. Quei cinque anni, però, furono “schiattati in corpo” e terminati gli studi mi dedicai alla scrittura. Fu un modo per dire ai miei genitori cosa volessi davvero fare nella vita e loro mi sostennero dicendomi di non abbandonare le mie passioni. Da quell’esperienza nacque il mio primo romanzo, in cui finzione e autobiografia si uniscono.
E “Arriverà anche domani” invece?
La scintilla è scattata una mattina dell’agosto 2018. Stavo passeggiando con il nostro cane quando, vittima di un capogiro, mi accomodai su una panchina della chiesa vicino casa. Rimasta lì per una decina di minuti, sentii il prete parlare tra sé e sé dicendo “Noi aiutiamo tutti, ma nessuno ci aiuta” e nacque così l’idea per questo romanzo in cui non è Dio ad aiutare gli uomini, ma un uomo a voler aiutare Dio. La stesura è partita precisamente un anno dopo, nell’agosto 2019, sempre come uno sfogo che si è poi trasformato dando vita alla storia che oggi tutti possono leggere.
Quanto è cambiata rispetto al primo romanzo?
Penso che la scrittura si evolva con lo scrittore. Io stessa dalle prime alle ultime pagine di “Arriverà anche domani” ho affrontato un percorso di crescita personale, perché volevo capire come ci si sentisse a vivere un certo tipo di evoluzione, per raccontare al meglio la crescita di uno dei personaggi.
Per rispondere alla tua domanda, mi sento sicuramente cresciuta a livello stilistico, noto un vocabolario più ricco, ma sempre accessibile a tutti e credo che proprio l’accessibilità del mio stile sia ciò che è rimasto invariato. Immagino sempre la scrittura come un fisico: la curo quotidianamente con l’esercizio, ma non la trasformo come un fisico super pompato.
In quale personaggio si rivede di più?
Ti faccio una metafora un po’ nerd: come in Harry Potter l’anima di Voldemort è divisa nei sette horcrux, io mi sono divisa nei tre personaggi principali. C’è una parte di me in ognuno di loro e credo che questo avvenga sempre, perché lo scrittore, per quanto possa inventare, cerca di veicolare attraverso i personaggi un determinato messaggio vicino al proprio credo.
E qual è il messaggio che lei ha voluto trasmettere?
Oggigiorno si pensa troppo che il vero eroe sia colui che vince e non sente nulla, invece io credo che non sia colui che esce vittorioso dalla guerra, ma chi resiste, chi combatte nonostante tutto perché pensa che ne valga la pena. E l’eroe al tempo stesso non è il ribelle, ma il convenzionale, il gentile, colui che sente tutto, forse anche troppo.
Perché una mongolfiera come immagine di copertina?
Nel libro c’è un passaggio fondamentale che richiama la mongolfiera e ho deciso di dedicarvi la copertina perché è molto emblematico: la mongolfiera rappresenta la vita sospesa tra il possibile terreno e l’impossibile ultraterreno, è sempre a metà tra cadere e volare, un po’ come la nostra vita. In più mia nonna era una collezionista di bomboniere di ogni tipo e prima di venire a mancare le ripose tutte in una scatola, tranne una che trovai per caso, proprio a forma di mongolfiera. Lo presi come un segno.