Un affresco pompeiano prestato dal Museo archeologico di Napoli al Museo di Beaux Arts – Bozar di Bruxelles e al Mucem di Marsiglia per alcune mostre presenterebbe oggi “profonde fessure” e una “velinatura” ossia un “intervento di restauro”, segno evidente di alcuni danni subiti. È questo in sintesi l’allarme lanciato dalla giornalista esperta di archeologia Valentina Porcheddu in un articolo del 28 marzo scorso sulle pagine del Manifesto e documentato anche sul proprio profilo facebook con alcune foto.
L’opera proveniente dal Tempio di Iside è stato esposto prima a Bruxelles, poi, più recentemente, a Marsiglia per una mostra su Alessandria d’Egitto. Il reperto di 150 x 137,5 cm descrive una scena del mito di Io, la cui storia è facilmente reperibile su Wikipedia: “Zeus, a causa di un incantesimo gettato da Iunge, figlia di Pan e di Eco, si innamorò di Io ma poiché temeva la gelosia di Era quando la andava a trovare la nascondeva in una nuvola dorata. Era accusò il marito di infedeltà, ma Zeus negò e, per evitare di essere scoperto, trasformò la giovane Io in una giovenca bianca. Era ne reclamò la proprietà e la affidò ad Argo Panoptes, ordinandogli di legare la mucca ad un albero di olivo presso Nemea, per poi punire Iunge trasformandola in un torcicollo. Ermes, incaricato da Zeus di recuperare Io, prima addormentò Argo poi lo uccise colpendolo con una pietra ed infine tagliandogli la testa, liberando così la giovenca. In seguito Era mandò un tafano a pungere Io, che cominciò a correre per tutto il mondo conosciuto per sfuggire all’insetto. Arrivata al braccio di mare tra Europa e Asia attraversò a nuoto lo stretto che prese il nome di Bosforo (“passaggio della giovenca”) ed infine giunse in Egitto, dove partorì Epafo, riacquistando le fattezze umane”.
Nell’affresco di Pompei, la fanciulla amata da Zeus è raffigurata con corna bovine (secondo la rappresentazione classica dell’epoca) insieme a Iside che, col figlioletto Arpocrate, l’accoglie a Canopo, vicino ad Alessandria, dove si è rifugiata.
Secondo quanto scrive l’archeologa, sull’opera “ci sono profonde fessure e non solo. Nella parte inferiore del dipinto c’è una ‘velinatura’, come si chiama in termini tecnici, cioè un intervento di restauro fatto quando lo strato di colore che non aderisce più al supporto, subisce forti sollevamenti”.
L’opera di “velinatura”, fa notare Porcheddu, era già presente durante la mostra in Belgio. Dunque, rimane il dubbio su quando si sia verificato il danneggiamento.
“Ci si chiede dunque perché, a distanza di un mese, il reperto – di peso notevole e dunque suscettibile di choc significativi durante il trasporto – sia stato esposto a ulteriori rischi anziché provvedere immediatamente al suo consolidamento nella sede di origine” scrive ancora la giornalista.
Fonti del Museo archeologico di Napoli, sul Corriere che riprende la notizia, fanno sapere che il reperto è stato inviato “nella massima sicurezza e che è gestito, come prevedibile, sempre nella massima sicurezza”.