Una testina di terracotta della dea Atena è riemersa durante uno scavo presso il tempio D di Agrigento: la scoperta apre scenari religiosi inediti e nuove ipotesi di lavoro. Il ritrovamento da parte di una équipe di ricerca della Scuola Normale Superiore di Pisa consentirebbe, infatti, di attribuire il culto del tempio ad Atena e non a Hera (Giunone per i romani) come avvenuto finora. I risultati dell’ultima campagna di indagine sono stati illustrati oggi al Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi dal direttore Roberto Sciarratta. Un saggio di scavo aperto nell’angolo sudorientale del tempio D, finora attribuito alla dea greca Hera, ha restituito la prima testa fittile di Atena elmata, databile tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C., e un braccio con l’egida e il pugno stretto in atteggiamento di attacco (promachos): è a oggi un esemplare unico nel panorama delle rappresentazioni della dea ad Akragas e fa intravedere – seppur come elemento indiziale – un nuovo tassello nello scenario religioso della città in età arcaica e classica. È la conclusione sorprendente della terza campagna di scavo della Scuola Normale Superiore di Pisa con il suo Laboratorio Saet nella Valle dei Templi, sotto la supervisione scientifica del professore Gianfranco Adornato e della dottoressa Maria Concetta Parello, funzionaria Archeologia del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi. “Se supportato da altre evidenze Archeologiche – afferma il professore Adornato, associato di Archeologia classica alla Scuola Normale – il culto di Atena nel santuario del tempio D sulla Collina meridionale andrà a sostituire definitivamente l’intitolazione del tempio a Hera Lacinia, proposta da Tommaso Fazello nel 1558 nel De Rebus Siculis Decades Duae, primo libro stampato sulla storia della Sicilia, un’attribuzione ancora oggi in uso nella manualistica, ma basata su una fonte letteraria di dubbia interpretazione e non su testimonianze materiali”. Gli scavi in quell’area, cui hanno partecipato numerosi allievi, dottorandi e post-doc della Scuola Normale di Pisa, sono stati condotti per indagare il rapporto stratigrafico e cronologico tra la pedana antistante al tempio e lo stereobate e hanno rilevato materiali di produzione corinzia, attica e locale, per lo più coerenti con i depositi dell’altare. Zona privilegiata di indagine è stato l’altare – luogo del sacro e del rito per eccellenza – con i suoi depositi votivi e i materiali: quest’area continua a essere un bacino inestimabile di informazioni per comprendere le pratiche cultuali e religiose dei devoti e scandisce l’intera cronologia dell’area sacra attraverso la sua stratigrafia.
Le ricerche nell’area occidentale del tempio inoltre hanno permesso di identificare un muro di fondazione perfettamente allineato con l’altare, ma non con il tempio di periodo classico a ulteriore indizio della preesistenza di un santuario in età arcaica. Questo settore fornisce informazioni per la comprensione non solo dell’intera fabbrica edilizia, ma anche del sistema di smaltimento e di drenaggio delle acque dell’area sacra: elementi quest’ultimi indispensabili per il funzionamento e le attività di un luogo così importante nella vita della polis. “La campagna di scavo, quest’anno più che mai, combina l’attività di ricerca sul campo con le istanze didattiche e divulgative della terza missione, da sempre fiori all’occhiello del Parco e della Scuola Normale – spiega il direttore Roberto Sciarratta – La vocazione del Parco risponde pienamente alle esigenze scientifiche delle missioni archeologiche italiane e straniere attualmente attive all’interno del sito patrimonio universale dell’Unesco, mettendo al centro di questa esperienza i visitatori, in un clima di totale condivisione dei saperi e a più livelli”.