Apertura Giubileo Diocesano della Misericordia

62

Signor Cardinale JOHN ONAIYEKAN, Arciv. di ABUJA in Nigeria, Care Eccellenze, Mons. Armando Dini, Arcivescovo Emerito della Diocesi di Campobasso, Mons. Lucio Lemmo, Mons. Gennaro Acampa e Mons. Salvatore Angerami, Vescovi Ausiliari di questa Arcidiocesi, Cari Sacerdoti, Diaconi e Seminaristi, Cari membri della Vita Consacrata, Fratelli e sorelle carissimi, l’apertura dell’Anno Santo rappresenta un’occasione di grazia, un evento denso di pathos spirituale per tutta la Chiesa e in particolare per la nostra comunità diocesana. Papa Francesco, con questo Giubileo, ha voluto porre l’intera vita dei credenti nella scia di luce della misericordia. Egli ci ricorda spesso che la tenerezza e la misericordia sono il paradigma della vita cristiana e il principio ispiratore di ogni progettualità pastorale.

Nella liturgia di questa terza domenica di Avvento, dal Vangelo risuona, semplice e pressante,un interrogativo: «e noi che dobbiamo fare?». Si rivolgono a Giovanni i pubblicani, i soldati, le folle e tutti gli fanno la stessa domanda: «noi che dobbiamo fare?». È un interrogativo che si presenta ancora oggi alle nostre coscienze con la stessa drammaticità. In un contesto mondiale, scosso dalla violenza del terrorismo e da diversi conflitti militari tanto da far pensare ad un’atipica terza guerra mondiale, in molti si chiedono: che dobbiamo fare? Se poi guardiamo la nostra città, anch’essa in balia di logiche malavitose e in affannosa ricerca del suo riscatto, ancora una volta ci chiediamo: che cosa dobbiamo fare?

Alle nostre preoccupate domande, alla confusa ricerca di improbabili soluzioni fa riscontro la parola del Papa. Egli non si limita a darci delle risposte generiche, preconfezionate. Ci propone invece di metterci in moto, di intraprendere  un cammino serio, impegnativo, responsabile. Ci prospetta il giubileo come opportunità di conversione, occasione di profonda trasformazione del nostro vissuto personale e sociale nel segno della misericordia.

Tutti abbiamo bisogno di misericordia: per guarire noi stessi, per guardare con occhi nuovi chi ci sta accanto, per iniziare nuovi percorsi. Ma la misericordia non si identifica con un superficiale buonismo. Non si confonde con un’indulgenza a buon mercato: una remissività arrendevole non giova alla crescita umana. Si tratta piuttosto di una «tenerezza combattiva», come la definisce il Papa: una tenerezza che senza rinnegare nulla della sua forza attrattiva, non si piega di fronte alle difficoltà, per quanto complesse e devastanti, ma sa affrontarle e superarle per restituire a ognuno la possibilità di ricominciare in un orizzonte di speranza e di dignità. 

Il Papa chiede che «la Chiesa sia madre». Una madre che allatta, alleva, corregge, conduce per mano. Pronta a riabbracciare tutti i suoi figli, anche quando sono andati via di casa sbattendo la porta. Essa è esperta in carezze, curva soprattutto sui più bisognosi. Egli se l’immagina “inquieta”, come una mamma che attende il ritorno a casa dell’ultimo suo ragazzo; che non si dà pace finché il sorriso non torni sul volto del figlio sconfitto dalla vita; che veglia instancabilmente sulla vita e i bisogni di tutti quelli che vivono sotto il suo tetto.È vero: non c’è in un’intera vita nulla di più essenziale che piegarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi. 

In realtà, queste sollecitazioni, rivolte a tutta la Chiesa, non ci colgono di sorpresa. La Chiesa di Napoli, infatti, è entrata già da diversi anni in quest’ottica. L’occasione per la svolta fu la promulgazione nel 2011 del “Giubileo per la città”. Di fronte al deterioramento del tessuto urbano e al degrado sociale del nostro territorio,la comunità cristiana prese atto che bisognava mobilitare tutte le risorse umane disponibili.  Solo il coinvolgimento dell’intera cittadinanza avrebbe potuto risollevare le sorti della città.

Prendendo a icona del nostro cammino il capolavoro caravaggesco delle “Sette opere di misericordia”,  abbiamo insieme tracciato il percorso della nostra comunità ecclesiale. Napoli ha bisogno di comprensione, di indulgenza e chiede di essere avvolta dalla misericordia, come una creatura che deve riacquistare fiducia in se stessa. La nostra gente è provata, smarrita, ferita e attende che qualcuno versi sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza. Da diversi anni ormai è la misericordia che regola i passi della nostra comunità ecclesiale. È essa a dettare l’agenda del suo agire pastorale. In questi ultimi anni sono sorte tante, innumerevoli iniziative ispirate ad una prossimità caritatevole, coinvolgente, sollecita a chinarsi su chi è caduto, su chi non riesce ad alzarsi dalla polvere. 

Ma la nostra comunità è impegnata soprattutto nel formare le coscienze, nel destare in ogni fedele un vivo senso di responsabilità non solo per un singolo bisogno, ma per le sorti della nostra convivenza civile, per il riscatto della nostra città. Nella tradizione biblica il giubileo esigeva ogni cinquant’anni il riposo della terra, la liberazione dei prigionieri, il condono dei debiti. Nulla di devozionale e bigotto, ma segni concreti di una rinascita globale, che investe l’uomo, la sua sfera spirituale, la libertà dei suoi passi, il suo vivere in una società giusta. 

Il Giubileo è una nuova opportunità di crescita per la nostra comunità religiosa e per la società civile. Esso ci sollecita a ricercare il bene comune. A ricercarlo insieme. A ricercarlo non mediante il compromesso, che gioca al ribasso e smorza gli ideali, ma con il dialogo paziente e costruttivo. E il dialogo è parlarsi, incontrarsi, scoprirsi amici. È fare un pezzo di strada insieme. È scoprire che il futuro o è di tutti o non è di nessuno. È convincersi che solo insieme possiamo contribuire al benessere della nostra bella, amata città.

Aprire la porta del giubileo è un atto solenne, profondamente significativo. Sappiamo bene che la Porta è Gesù. Egli ci introduce nella casa del Padre, nell’intimità della sua vita, e ci rende figli ed eredi. Egli stesso l’ha affermato: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,9). Gesù è la porta che ci fa entrare e uscire. L’ovile di Dio è un luogo di libertà, non una prigione; un riparo non una costrizione. Possiamo entrare in esso senza paura e uscire senza pericolo.

Ma aprire la porta giubilare è oggi solo un segno. Un segno che può restare privo di risvolti effettivi. Non serve a nulla varcare la porta della cattedrale. Non ci costa nulla il farlo. La porta vera da aprire è quella del nostro cuore, della nostra mentalità. È quella che ci conduce ad un ammalato o ad un anziano solo, è quella che ci consente di entrare nell’anima di un giovane senza futuro, di accostarci ad un immigrante disperato. La porta effettiva è quella di casa nostra che bisogna varcare con occhi nuovi per intraprendere un diverso stile di vita familiare, senza prevaricazione, nel rispetto per tutti, nella ricerca di una piena gratificante convivialità. 

E mi vengono in mente in questo momento tante altre porte. Penso alla porta delle scuole, delle fabbriche, delle palestre, degli ospedali, dove tanti nostri concittadini crescono, lavorano, si divertono, lottano per recuperare la salute. Penso alla porta del carcere, che ci separa da un’umanità ferita e sofferente, impegnata a riconquistare la propria dignità. Ma penso anche a tante porte che rimangono ostinatamente sprangate. Sono quelle delle nostre comunità religiose quando si chiudono nel proprio guscio; quelle delle nostre istituzioni eccessivamente burocratizzate e poco attente ai bisogni della collettività; quelle del nostro cuore, poco disponibile all’altro, al diverso, allo straniero. Le porte – ci ha ricordato di recente il Papa – servono per custodire non per respingere. La Chiesa è la portinaia, non la padrona della casa del Signore.

Apriamo allora la porta della cattedrale, all’inizio di quest’anno giubilare, perché – nel segno della misericordia – tutti possano entravi, tutti possano trovarvi accoglienza e sentirsi di casa nella casa di Dio. Ma vogliamo anche che, attraverso questa porta,  la nostra comunità ecclesiale esca per andare incontro alla città, per farsi vicina alla gente e continuare il cammino di misericordia – nella concretezza delle sue sette opere – intrapreso da diversi anni. La porta della misericordia rimarrà aperta per sempre in entrambi i versi: per accogliere chi è pentito, per andare incontro a chi è smarrito.

Viviamo quest’anno giubilare testimoniando la tenerezza infinita di Dio, nella convinzione chela misericordia è la sintesi del Vangelo. La misericordia è il volto di Cristo: è quel volto che va incontro a tutti, quando guarisce gli ammalati, quando perdona l’adultera, quando siede a tavola con i peccatori pubblici e in particolare quando, inchiodato sulla croce, perdona tutti, anche quelli che gli stavano dando la morte. Siamo consapevoli che il giubileo non è un evento isolato: è un cammino. Un cammino che implica la conversione del cuore, il rinnovamento delle nostre mentalità edei nostri linguaggi,la rigenerazione delle nostre comunità cristiane. 

È un cammino che vogliamo intraprendere con decisione ed entusiasmo affidandolo a Maria, madre della misericordia. Lei che per prima è stata raggiunta dalla grazia e dalla misericordia di Dio, accolga con clemente benevolenza il cammino della chiesa di Napoli e l’invocazione del popolo napoletano che le è stato sempre sinceramente devoto, affidandosi a lei fiducioso nelle difficoltà e nelle tribolazioni della vita.

Dio ci benedica e
‘A Maronna c’accumpagna!