Ancora idee sul nuovo ruolo dell’OSCE

E’ da tempo che la Germania, soprattutto tramite il suo ministro degli Esteri Steinmeier, notifica all’Alleanza Atlantica un necessario cambio di strategia nei confronti della Federazione Russa.

Il ministro tedesco ha, il 18 giugno scorso, avvisato la NATO di non “infiammare” le relazioni con Mosca, per evitare una tensione che porterebbe anche alla guerra aperta. Vladimir Bokovsky, il dissidente che fu scambiato con il leader comunista cileno Corvalan nel 1976 a Zurigo, diceva che “la grande forza di sopportazione dei russi è la loro vera arma segreta”.

Meglio non mettere all’angolo la Russia, che sarebbe invece un partner ideale nel Mediterraneo, in Asia Centrale, in Medio Oriente. Il nostro vero pericolo globale è il jihad della spada, non la voglia russa di riprendersi un ruolo globale.

I decisori militari tedeschi stanno, peraltro, pensando oggi ad una dottrina autonoma nei confronti dell’Est e, soprattutto, del progetto eurasiatico tipico dell’implesso Cina-Russia.

Sempre Steinmeier intravede la riproposizione, lo ha detto l’agosto scorso, ma in modi e con strumenti nuovi, della guerra fredda tra l’Occidente e la Federazione Russa, progetto che vedrebbe la Germania, come nell’antico modello di cold war, come prima vittima e terreno principale di guerra.

Non si deve peraltro dimenticare che Frank-Walther Steinmeier è oggi presidente di turno proprio dell’OSCE.

Sarebbe la fine, la nuova “guerra fredda”, della recente riunificazione tedesca nonché la cessazione del benessere e della stabilità della Germania, che vive di esportazioni anche, e soprattutto, verso l’Est e che intende quindi ampliare autonomamente la propria presenza in Eurasia.

Malgrado che Mosca abbia arrestato il 18 Luglio scorso, con una accusa di spionaggio, l’osservatore dell’OSCE ucraino che monitorava il cessate-il-fuoco nell’Est della stessa Ucraina, la presidenza attuale dell’Organizzazione viennese ha invitato anche i tecnici russi a monitorare le prossime elezioni presidenziali in USA.

L’OSCE è stata poi ufficialmente invitata, da Mosca, a controllare le prossime elezioni parlamentari russe del 18 Settembre prossimo.

Se quindi la NATO si concentra sul progetto di nuova “guerra fredda”, per controllare l’espansione della Federazione Russa e ridurla a “media potenza”, gli Stati europei verificano la divaricazione tra i loro interessi strategici e quelli dell’Alleanza Atlantica; ma allora occorre pensare ad un nuovo forum per le decisioni internazionali, l’OSCE per esempio, che metta temporaneamente da parte il Patto Atlantico e riprenda il filo di un progetto eurasiatico al quale l’Europa Occidentale non può rimanere estranea.

Peraltro, l’idea della NATO di comprimere Mosca in quella che Raymond Aron chiamava “la grande pianura europea” e di controllare a distanza, in Asia Centrale, la Repubblica Popolare Cinese si realizza in una fase in cui Washington sta di fatto abbandonando l’UE al suo destino, soprattutto dopo la Brexit.

Gli USA hanno deciso di quadruplicare il proprio budget militare nell’Est europeo fin dal Marzo 2016, e questo fuori dal quadro dell’Alleanza Atlantica e in evidente funzione antirussa, anche se mascherata da proiezione militare verso il Golfo Persico e, in particolare, l’Iran.

La nuova Alleanza Atlantica sarà più asimmetrica del solito: vi saranno Paesi importanti, come la Polonia, la Cechia e la Romania, e nazioni meno importanti, come Italia, Francia, la stessa Germania e la Spagna, che vedranno diminuire l’impegno strategico della NATO e dovranno per forza pensare di difendersi da sole.

Se poi vince Donald Trump, gli Stati Uniti non accetteranno, lo ha esplicitamente dichiarato il candidato repubblicano, l’automatismo ex-art.5 del Trattato dell’Atlantico del Nord sulla difesa integrata dell’Alleanza.

Se invece va alla Presidenza nordamericana Hillary Clinton, allora l’ex- segretario di Stato USA aumenterà le sfortunate e spesso irrazionali operazioni contro i “tiranni” mediorientali o meno, tentando di coinvolgere gli alleati UE, con risultati alterni.

E con una lunga e pericolosa destabilizzazione in aree-chiave, di cui farebbero le spese soprattutto i Paesi UE e l’European Pillar della NATO.

E occorre aggiungere che il recentissimo progetto italiano di Forza Unificata militare tra l’Italia, appunto, la Germania e la Francia, proposto inizialmente dal gen. Camporini, deriva dalla valutazione razionale di una estraneità britannica post-Brexit al Continente europeo e dalla verifica di una NATO sempre più lontana dagli interessi europei e vicina, più del solito, ai progetti USA.

Peraltro, la nuova Forza Tripartita avrà, con ogni probabilità, una postura più razionale verso la Federazione Russa e verso il Mediterraneo.

Un progetto che non può non interessare anche Israele, che potrà ridisegnare la sua politica estera e di difesa diventando un player mediterraneo.

Per riscoprire successivamente nel Mare Nostrum l’antemurale di sicurezza che può difendere la posizione terrestre dello Stato Ebraico, nel contesto delle nuove tensioni generate dal jihad statuale del “califfato” e dalla sua prossima fine.

L’OSCE, lo ricordiamo, è nata con altro nome dall’Atto Unico di Helsinki del 1975.

La conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, che avvenne nella capitale finlandese, fu un successo dell’URSS, che si vide accettata l’inviolabilità dei confini statuali, ma anche un successo degli USA e degli altri Stati dell’Alleanza Atlantica, che ebbero nell’Atto Finale il riconoscimento dell’inviolabilità dei diritti umani e delle libertà democratiche.

Oggi, l’OSCE si occupa della regolarità delle elezioni politiche, ed è nota soprattutto per queste attività.

Ma l’organizzazione viennese deve controllare molte altre funzioni dell’equilibrio internazionale, quali il controllo della diffusione delle armi, tattiche e strategiche, mantenendo dieci missioni nei “punti caldi” (Montenegro, Albania, Bosnia-Erzegovina, Moldova, Serbia, Skopje, Tagikistan, Ashgabad, Ucraina, Uzbekistan).

Tra le ulteriori funzioni dell’OSCE, vi sono la lotta al terrorismo, il contrasto al traffico di esseri umani, la prevenzione e la risoluzione dei conflitti, le attività economiche, quelle per la protezione dell’ambiente, la tutela dei diritti umani e la garanzia della libertà della stampa e degli altri media, poi la cooperazione nel settore della sicurezza e le norme contro la discriminazione.

Una sequenza di funzioni che è, in gran parte, sovrapponibile a quella della NATO che è, peraltro, un coordinamento di strutture militari che sono e rimangono nazionali.

Se vogliamo fare quindi un confronto con l’Alleanza Atlantica, vediamo che l’OSCE è presente in dieci punti di crisi, quelli che abbiamo sopra ricordato; mentre la NATO è attiva, oggi, in sei quadranti strategici e in particolare l’Afghanistan, dove ha diretto l’ISAF (International Security Assistance Force) dal 2003 al 2014 avente ben 51 membri, “atlantici” o no, la più lunga operazione mai condotta dall’Alleanza.

Poi, l’Alleanza Atlantica è operativa con Resolute Support sempre in Afghanistan, attiva dal 1° Gennaio 2015.

Gli effetti di queste due operazioni dell’Alleanza sono sotto gli occhi di tutti: i Taliban, gli “studenti” nati politicamente nelle madrasse pakistane, sono ancora padroni del terreno afghano, mentre aumenta l’infiltrazione dei “nuovi qaedisti” dalla Siria, dal Tagikistan e perfino dallo Xingkiang islamista cinese.

L’addestramento delle forze di sicurezza afghane non è certo un obiettivo militare oggi efficace e razionale: il governo di Kabul è fortemente legato al narcotraffico, come peraltro molte delle fazioni dei Taliban.

In Kosovo, lo pseudo-stato riconosciuto dagli USA un giorno dopo la dichiarazione di indipendenza dello staterello albanese dalla Serbia, il 17 Febbraio 2009, le cose non vanno meglio.

Oggi, è soprattutto uno hub per i foreign fighters del Daesh-Isis.

Il Kosovo ha fornito ben 125 combattenti stranieri nei quadri Isis per ogni milione di abitanti, quindi è lo stato più “ricco”, si fa per dire, di foreign fighters nel califfato al mondo.

Una ulteriore operazione dell’Alleanza Atlantica è Active Endeavour, che controlla il Mediterraneo contro il terrorismo.

Tale azione della NATO sarà presto trasformata in Operation Sea Guardian, più ampia, che vedrà il contributo di Paesi non appartenenti all’Alleanza.

Il terrorismo ha colpito, nel 2015, in oltre 100 Stati, dai soli 59 del 2013, e, lo dice la stessa NATO, esso non è particolarmente presente nel Mediterraneo, ma opera, come è ben noto, in alcuni Stati mediorientali e, con l’Isis, nell’Europa continentale con i terribili attentati che ben sappiamo.

Le ultime statistiche indicano in Occidente ben 229 morti per atti di terrore, soprattutto jihadista tra cui 49 negli USA, 44 in Turchia, e addirittura 292 in Iraq.

Poi, se vogliamo essere chiari, il “terrorismo” non esiste. Esiste piuttosto il jihad della spada, che si regola ed evolve secondo una propria specifica dottrina strategica, estranea all’universo clausewitziano occidentale.

Gli atti di terrore sono parti di questa sequenza di operazioni militari islamiste, non sono né l’obiettivo né la tecnica primaria di contrasto da parte del jihad.

Non a caso, il miglior contrasto al jihadismo è finora stato mostrato dalla Cina, che ha una dottrina militare che va ancora oggi da Sun Tzu ai “36 Stratagemmi”, dalla Russia, che ha applicato un mix tra guerra tradizionale e le nuove “guerre ibride” contro il suo jihad territoriale ceceno, e da Israele, che persegue da sempre un originale insieme di intelligence, guerra preventiva e azioni militari vere e proprie.

Il Mediterraneo è quindi un tramite del terrorismo, secondo gli analisti della NATO, non un quadrante che si caratterizzi per la presenza di un jihad omogeneo e basato su operazioni marittime coast-to coast.

Ancora un’altra missione NATO attiva: nel Kossovo abbiamo l’operazione dell’Alleanza Atlantica, all’inizio (nel 1999) chiamata KFOR, fino all’accordo tra Serbia, Kosovo ed EU, il Normalization Agreement, siglato nel 2003.

Importante è anche l’operazione, poi, di anti-pirateria detta Ocean Shield, organizzata dell’Alleanza Atlantica nel Golfo di Aden, nel Corno d’Africa e nell’Oceano Indiano, attività che nasce ufficialmente nel 2008.

Essa terminerà, secondo i programmi, nel Dicembre 2016, pur mantenendo alcuni meccanismi di early warning in quel quadrante.

Per il sostegno all’Unione Africana, dal 2005, la NATO opera con la stessa UA, che ha 54 membri tutti appartenenti al Continente Nero.

Ma l’ Alleanza Atlantica ha come obiettivo primario quello del sostegno ad AMISOM (AU Mission in Somalia) che dirige la African Standby Force, sempre con il sostegno di Paesi non “atlantici”.

In sostanza, il mix pericoloso tra “missioni di pace” di “interposizione” e di peace enforcing permette alla NATO di congelare i problemi, non di risolverli.

Quando la missione atlantica se ne va, il contrasto rinasce come prima o, come è successo in Kossovo, al nazionalismo etnicista degli albanesi locali si sostituisce il jihad.

Occorrerebbe ben altro, ma più sono gli Stati, africani o di altre aree di crisi, a partecipare elle operazioni dell’Alleanza Atlantica, meno è probabile una risoluzione politica e, quindi, una reale stabilizzazione di quei quadranti strategici nei quali, peraltro, ogni attore regionale continua a giocare il proprio ruolo egemonico.

Queste sono quindi le azioni della NATO attualmente in essere.

E quelle dell’OSCE? Vi è, per esempio, oltre alle presenze della struttura di Vienna che abbiamo già elencato, il Forum on Security Cooperation, che regola lo scambio di informazioni militari tra gli Stati membri, cerca di controllare la proliferazione delle “piccole armi”, monitora la diffusione delle armi di distruzione di massa, controlla l’esecuzione dei rapporti e delle decisioni multilaterali tra i Paesi membri dell’OSCE, che sono ben 57.

Il vero problema è, quindi, che alla struttura internazionale viennese partecipa anche la Federazione Russa, che aveva ricominciato la sua politica estera postsovietica con il NATO- Russia Council, creato nel 2002..

Mosca, appena cessato il regime sovietico, ha aderito al North Atlantic Cooperation Council nel 1999 e al anche programma della Partnership for Peace pochi anni prima, nel 1994.

Oggi, la questione georgiana dell’Agosto 2008 (che viene letta dalla NATO come “reazione sproporzionata”) e, soprattutto, l’azione russa in Ucraina dell’Aprile 2014 hanno bloccato ogni tipo di relazione tra l’Alleanza Atlantica e Mosca.

Un grave errore: la Russia ha sempre letto sia la Georgia, dove è nato Stalin, e l’Ucraina (dove è nato Krusciov) aree oggi autonome ma comunque sottoposte al disegno strategico di Mosca.

Cosa accadrebbe, peraltro, se un’alleanza vicina alla NATO si prendesse l’Iran, alleato storico di Mosca? O se Mosca inviasse truppe in Sicilia?

Ecco quindi che la Federazione Russa ha operato contro le “rivoluzioni arancione” di origine USA nei due Paesi caucasici, per proteggere soprattutto la propria sovranità e l’autonomia delle linee petrogaziere.

La Georgia ha definitivamente siglato l’accordo (Association Agreement) con l’UE il 1 Luglio 2016, ma la Russia ha prontamente diversificato le proprie linee di rifornimento di idrocarburi verso l’Unione Europea; con la fondazione del TANAP (Trans Anatolian Gas Project) a metà marzo di quest’anno, una linea di trasferimento che porterà anche il gas azero verso i mercati europei.

Il gas del TANAP arriverà in Turchia nel 2018, per poi distribuirsi in Europa, mentre la TAP (Trans Adriatic Pipeline) parte da Kipoi, al confine tra Grecia e Turchia, passa in Grecia e in Albania e si collegherà al TANAP in Turchia.

Per il TANAP, Baku e Ankara apriranno anche al Turkmenistan.

Ecco, reagire solo con le “rivoluzioni arancione” a questo progetto geoeconomico sembra, in linea di massima, uno sparare ai passerotti con un cannone.

Non vi è, in effetti, nessuna possibile controazione dell’Alleanza Atlantica a questo progetto di linee di trasferimento filorusse del gas naturale, progetto che rimane controllabile solo dalle attività strategiche indirette, soprattutto con le tecniche di “guerra ibrida”, messe in atto proprio dalla Federazione Russa.

Non si deve nemmeno dimenticare che Vladimir Putin ha più volte espresso l’idea, fin dal 2011, di uscire dall’area del dollaro usato per le transazioni energetiche e di creare un “mercato parallelo” basato solo sul rublo.

L’OSCE, poi, è l’unico forum internazionale in cui tutti i Paesi membri sono trattati in modo paritario, ed è quindi l’organizzazione ideale per riaprire il dialogo strategico con la Federazione Russa,

E, dato che la forza della struttura viennese è anche quella di controllare e gestire i contrasti regionali, nell’OSCE i 57 membri già attivi dovrebbero cooperare anche con Israele, dove la tensione con l’Autorità Palestinese, che si avvia ad essere un failed state, può essere controllata e limitata proprio utilizzando tutta la panoplia di tecniche, personale specializzato, autorità politica che l’Organizzazione ha finora dimostrato.

Ridurre il ruolo dell’OSCE al solo controllo della regolarità delle elezioni è quindi estremamente riduttivo, anche se obiettivamente necessario.

Il ministro degli esteri tedesco e attuale presidente dell’OSCE ha suggerito che l’Organizzazione con sede a Vienna si occupi anche del controllo e della verifica degli armamenti convenzionali, che sono e saranno le armi effettivamente utilizzate nelle prossime guerre.

L’equilibrio nucleare è eminentemente politico e strategico, si tratta di “armi fatte per non essere mai usate”, come disse, ormai molti anni fa, un segretario generale della NATO, il britannico Lord Ismay.

Inoltre, l’OSCE potrebbe unire i suoi sforzi per la protezione ambientale con la cooperazione economica e “allo sviluppo”, una nuova funzione che potrebbe agire in un contesto determinante per il futuro del mondo, quello che unisce il Partenariato per il Mediterraneo con la vastissima area asiatica ed eurasiatica.

Se la NATO chiude ad Est, ripetendo il riflesso condizionato per cui è stata fondata, abbiamo oggi bisogno di organizzazioni efficaci, inclusive, che aprano al “nuovo mondo” strategico, economico, militare, che sarà quello asiatico, dove l’UE ritroverà la sua vera vocazione geopolitica e il Mediterraneo, ma soprattutto Israele, avranno modo di garantire la loro sicurezza multilaterale.

L’Italia, è bene ricordarlo, presiederà per l’intero 2017 il Dialogo Mediterraneo dell’OSCE, e sarà bene non ridurre questa occasione ad una specie di “semestre europeo” pieno di convegni ma di cui si spera solo che passi presto.

L’Italia come tramite e strumento della nuova vita dell’OSCE ma, soprattutto, come il Paese che allarga l’Organizzazione verso l’Eurasia e, simultaneamente, verso il Mediterraneo.