Anche per il Rione Terra a Pozzuoli la medicina è l’interpretazione

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Un sito strabiliante, quello del Rione Terra di Pozzuoli, non solo per il suo significato storico- urbanistico: fu l’acropoli dell’antica Puteol; non solo per la distruzione di una sua parte nel 1963: un grande incendio; ma anche per il bradisismo degli anni 70 che ne provocò la desertificazione, per il terremoto degli anni ’80 e di nuovo per la recrudescenza del bradisismo in quello stesso decennio. Sembra la mitica fenice che muore mille volte e mille volte ancora rinasce dalle sue ceneri. Il posto può stregare il visitatore, abbracciarlo con le sue luci, emozionarlo tra esperienze legate al passato remoto, a ieri ed anche a oggi. La vita attuale del Rione Terra è forse la meno entusiasmante. Dopo il recupero archeologico, perfetto nella basilica minore dei SS. Procolo e Gennaro con la nuova facciata in cristallo strutturale sulla quale sono state rappresentate in serigrafia le colonne frontali del pronao andate distrutte, sono stati recuperati gli ambienti in cui è stato allestito il museo Diocesano, i percorsi sotterranei, la strada esterna che circonda tutta l’area. Magnifico, sensazionale. Una bella domenica di caldo e di sole, quando la luce giocando sulle superfici di pietra crea riflessi e bagliori che nessun dipinto potrebbe illustrare, ecco, ti aspetteresti tanta gente in fila per entrare in questo magica macchina del tempo. Oh si! Un certo numero di persone siede in chiesa mentre il prete officia la messa, qualche famigliola con passeggino gironzola facendo prendere l’aria buona al pupo in attesa del pranzetto domenicale, qualche coppietta si immortala in un selfie, qualcuno ancora chiede il costo della visita al Museo Diocesano (5 euro per la cronaca) ma poi scuote la testa e va via. Tutto qui. Niente amanti dell’archeologia, niente guide esperte che trascinano i visitatori nel vortice della storia, niente musiche, rumori (eppure quando la terra si alza e sussulta per un terremoto un po’ di rumore, lo fa), nessuna proiezione…niente. Un luogo non gestito, bello, deserto, una città fantasma con qualche simulacro di vita dovuto all’imprenditorialità del clero, ma nient’altro. Questo è un luogo che urla la necessità di una gestione che sappia farlo funzionare, che sappia trattarlo da bene economico che gli dia una scarica di vitalità che oggi brilla per la sua assenza. E’ un luogo perfetto per praticare le tecniche dell’interpretazione. La scarpata (si proprio un discesone brullo e poco agevole) Illawarra nel Nuovo Galles del Sud in Australia è stata studiata in funzione di ciò che essa significa per la comunità locale, ha coinvolto artisti che vi hanno installato le proprie opere d’arte e regalato le proprie memorie ed è diventata la realizzazione di un progetto d’arte ambientale. Non c’è paragone alcuno tra il valore storico e artistico della scarpata australiana e il nostro Rione Terra, ma sapete quanto costa affittare una villetta che affaccia su questa ormai famosissima scarpata? 539 euro. A notte. Ci rendiamo conto di quanti soldi si perdono ogni giorno lasciando praticamente a se stessa un area che potenzialmente non solo non necessita di alcun finanziamento ma può finalmente rendere economicamente come solo un posto di tal calibro può? Oh certo! Ogni tanto c’è una manifestazione! Ogni tanto c’è un inaugurazione! Ogni tanto c’è una piccola manifestazione letteraria! Ogni tanto. I beni culturali devono produrre ogni giorno, possono farlo, e spetta a noi metterli in esercizio. Non si può continuare a sentir parlare di ciò che verrà, che sarà, che si farà, anzi, si potrebbe fare se ci fossero i soldi. Il “pianto del depredato deve finire”. Da troppi anni i cantieri sono semiaperti e nell’attesa del fatidico start nulla si muove. Quando segnalo esempi di località australiane, voglio suscitare il pensiero che se possono produrre interesse storico- artistico quei luoghi che di storico non hanno quasi nulla, noi siamo molto, molto colpevoli del nostro non fare. Chiariamo dunque cos’è un piano d’interpretazione? E ’ uno strumento che a partire dell’analisi degli aspetti naturalistici, storici e culturali di un territorio ne identifica la più idonea strategia comunicativa. Che cosa bisogna allora prendere in considerazione nell’elaborazione di un piano d’interpretazione? Fondamentale accertare le opportunità di coinvolgimento della

popolazione, indispensabile accertare l’eventuale esistenza di persone che possano essere legate affettivamente, economicamente, socialmente a quei luoghi e in caso positivo consultarli, basilare capire quanto l’interpretazione possa essere sufficientemente conosciuta da essere accettata, e intervenire per sfatare tutti i convincimenti errati. Una volta in esercizio la struttura nasceranno nuove esigenze da soddisfare: la continuità della gestione dell’interpretazione, la manutenzione dei materiali introdotti come opuscoli, display, luci, suoni. Non dimentichiamo che essi saranno sempre una voce del bilancio di esercizio ma che saranno il motore delle future entrate. Questa è la ricetta, adesso bisogna prendere la medicina.