Anche la gestione del museo ateier ha delle regole

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L’arte contemporanea negli ultimi vent’anni ha subito, e specialmente qui al sud, un enorme trasformazione: pratica più o meno virtuosa, incomprensibile alla maggior parte dei non addetti ai lavori, era, fino a qualche decennio fa, liquidata dai più con frasi a effetto che pescavano tra i ricordi della cultura scolastica. La scena internazionale intanto progrediva, sperimentava e cambiava i termini. In Italia però l’unico vagito udibile era la Biennale di Venezia. A Napoli arrivarono poi Lucio Amelio e la sua corte d’artisti. Essi cominciarono quel radicale lavoro di sdoganamento delle espressioni contemporanee che ha condotto alla diffusione di quest’arte al meridione dove oggi gode di un notevole apprezzamento. Associazioni, fondazioni, progetti spontanei di artisti, e non ultimi i musei hanno favorito la creazione di rapporti locali e internazionali permettendo, anche qui al meridione, la crescita e la maturazione dell’arte contemporanea. Tutti felici, tutti contenti. Adesso l’arte contemporanea italiana può confrontarsi con le realtà internazionali. Evviva. Grazie a tante soluzioni legate allo studio, agli stage in altri paesi, – diciamolo pure: viva Erasmus – abbiamo permesso a una classe di aspiranti artisti nostrani di crescere, confrontare la propria arte con quella di altri luoghi e altre culture, di comprendere i propri limiti e di progettarne il superamento. Come? Guardando un po’ più in là dei musei è possibile individuare un mondo da sempre silenzioso ma presente: quello dei collezionisti. Spesso il loro patrimonio è ancora più prezioso di quello dei musei cui volentieri e spesso prestano i propri tesori per le esposizioni. I collezionisti sono a volte i pionieri di nuove tendenze, silenziosi scopritori di nuovi talenti, ma oggi vogliono di più. Il loro tipico autocompiacimento per il possesso, da quello più elementare delle mitiche figurine dei calciatori “ io ce l’o e tu no”, fino a quello più sofisticato dei capolavori d’arte, vorrebbe trovare la sublimazione nella riconoscibilità istituzionale. E’ forse per questo che nascono le fondazioni? I musei in Italia non hanno avuto fino ad oggi un’identità tanto forte da permettersi il dialogo col privato. A Napoli sembra però che questo problema, insieme all’annosa questione della ricerca di un ruolo per i musei senza identità sia stato finalmente risolto: 6000 mq di spazi cui una ristrutturazione radicale ha cancellato qualsiasi richiamo con la storia della famiglia Carafa o con l‘originaria seicentesca natura di villa-masseria. 6000 mq nei quali disegnare e gestire i segni come su una lavagna nuova. Il PAN, il Palazzo delle Arti, già conosciuto come Palazzo Roccella, finalmente ospita tutti: collezioni, artisti e sedicenti tali, e a tutti regala un posto al sole. Due le strade da percorrere per la conquista di uno spazio espositivo: il collezionista ansioso di ribalta istituzionale, o l’artista in cerca di un faro sulla propria opera illustra al Gran Politico di Turno ciò che vorrebbero esporre. Pollice alto o pollice verso? Poco importa: in caso di giudizio negativo sarà possibile esporre a pagamento, nello stesso museo, in una delle sale deputate a questo. E’ giusto aprire il museo alle persone. E’ giusto immaginare spazi nuovi come luoghi espositivi e, magari, trasformare un museo senza identità in un atelier per artisti, ponendoli al centro di un processo di avvicinamento del pubblico all’arte contemporanea. All’arte, appunto. Arte. Non scomoderemo Croce, gli antichi, la storia dell’arte o la filosofia, però un po’ di chiarezza ci vuole: avviciniamo il pubblico all’arte oppure stiamo avverando la profezia di Andy Warhol (“Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti”)? Chiunque è libero di collezionare ciò che crede, ma è libertà quella di imporre ad altri la propria collezione o il proprio lavoro a prescindere dal suo oggettivo valore? Tante le esposizioni interessanti e di valore al PAN, inspiegabili alcune altre. Purtroppo mostre interessanti come ad esempio quella su Warhol del 2014 affogano in un mare d’altro. Nei paesi nordeuropei ogni anno gli artisti per usare gratuitamente tutto quanto lo stato gli mette a disposizione per la loro arte, devono dimostrare qualità e quantità della produzione. Il giudizio che permetterà o meno loro di accedere a casa, studio, esposizioni o altro non è affidato a un solo politico ma a una commissione di valutatori, competenti, strutturati, tutti di grande capacità tecnica e poco politica. E’ necessario per il successo di quest’atelier o museo che dir si voglia, che gli artisti o sedicenti tali che espongono a pagamento il proprio lavoro in un prestigioso palazzo nel cuore elegante di Napoli, debbano in qualche modo essere gestiti con maggiore attenzione e rigore. Allo stesso modo l’accesso all’esposizione sponsorizzata dalle istituzioni dovrebbe passare per valutazioni poco politiche e molto artistiche.