Amici, attenzione: non ci sono più amici

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Ci vorrebbe un amico per poterti dimenticare, ci vorrebbe un amico per dimenticare il male, ci vorrebbe un amico qui per sempre al mio fianco, ci vorrebbe un amico nel dolore e nel rimpianto. Venditti


L’imbarbarimento prosegue: la fine Ci vorrebbe un amico per poterti dimenticare, ci vorrebbe un amico per dimenticare il male, ci vorrebbe un amico qui per sempre al mio fianco, ci vorrebbe un amico nel dolore e nel rimpianto. Venditti


L’imbarbarimento prosegue: la fine della fiducia, della buona educazione, dell’onestà e anche l’amicizia è sempre più rara. Sono molte le cause di questo cambiamento e certamente ha a che fare con i modelli di valore, con le situazioni sociali, la prevalenza della sfiducia e altre dimensioni, ma probabilmente la più grande cospirazione mondiale contro l’amicizia è quella attuata dai social network, che l’hanno trasformata in una caricatura, o un surrogato, e ne hanno decretato il superamento. Nei social, nella politica, quasi ovunque si fanno dichiarazioni solenni d’amicizia e di rispetto di patti. L’impegno termina con la dichiarazione che è poi smentita dalla realtà. Vale quello che si fa non quello che si dice. Non si ottiene qualcosa solo dichiarandolo, al contrario, si distrugge quello che si dichiara. Chiamando amicizia quello che non è, non la si riconosce più, non la si coltiva, ci si arresta di fronte al primo ostacolo e così aumenta l’isolamento affollatissimo e la moltitudine della solitudine insieme alla sfiducia e alla paura. Chiamiamo, oggi sempre più, amicizia lo scambio di convenienze strumentali dove il valore delle relazioni è determinato, solo, da quanto l’altro può essere utile per i propri scopi. Oppure ci si accontenta di un “graffio emotivo” nel vuoto dello spazio d’internet che può nascere e morire con lo sforzo di un dito su un pulsante che spinge “mi piace” o “cancella”. Evitiamo il rischio della realtà perché questo significherebbe smetterla di raccontare e raccontarsi bugie ed entrare nella fatica dell’incontro. Questo cinismo relazionale può avere anche una sua plausibilità ma non chiamamola amicizia. Inoltre insieme alla superficialità di questa “amicizia”dichiarata, aumenta la consistenza torbida del suo opposto, perché contiene un potenziale d’inimicizia, che emerge non appena l’altro serva meno o smentisca le aspettative. Si applica anche nella realtà la modalità violenta di face book: si cancella o si accetta a seconda dell’apparenza. Siamo, e diventiamo, facilmente nemici, lo siamo velocemente, senza dover faticare. Spesso senza fare nulla: basta stare, o essere, da una parte o dall’altra di una mappa socioaffettiva. Ora, ad esempio, mi trovo in un luogo e sono con un amico, passa davanti a noi uno che lui afferma essere suo nemico. Quest’ultimo mi guarda e lo sento: “Sono diventato suo nemico!” Non esagero è così, in molti luoghi è così culturalmente, direi “istituzionalmente”. Facile ricordare il macromodello delle nostre forze politiche a supporto di quest’affermazione. Tornando a questa persona che mi guarda con astio, penso che potrei essere suo amico, ma mi trovo a dover essere nemico del nemico del mio amico, anche se non è mio nemico, se voglio continuare, a essere amico del mio amico. Invece amicizia è generazione di vita che coltiva l’assimetria, la dissimmetria, la differenza e anche l’ambiguità, l’ambivalenza. Solo uno scopo e delle azioni comuni può consentire la possibilità della continuità della relazione e la sua validità, sino alla fine, dove la data di scadenza non è segnata e potrebbe anche non aver fine. Il progetto è il test di realtà dell’amicizia, sia esso d’amore o di business o culturale, o altro. Il progetto consente la coltivazione vitale, che è più dello scambio: è generazione e invenzione della realtà, rilancia il senso e le prassi dello stare insieme. Avere amici è strutturale e funzionale alla salute psichica e decisivo per lo sviluppo dei sistemi sociali, dalle città, ai luoghi di lavoro e di svago, a quelli della propria famiglia. L’amicizia va costruita, è fatica, anche se c’è piacere mentre l’inimicizia è incombente e facile. La prima è determinante per lo sviluppo perché è un moltiplicatore del patrimonio emotivo, la seconda sottrae energia, devitalizza toglie benessere, quindi determina inevitabilmente l’impoverimento. Quando nei sistemi umani si parla di buon clima, si descrive un luogo in cui i soggetti si riconoscono reciprocamente valore, dialogano e costruiscono storie comuni in un tempo di vita passato bene insieme per uno scopo. I principi che regolano lo scambio di valore sono gli stessi, sia si tratti di una buona relazione, sia si tratti di un rapporto privilegiato d’amicizia. In un rapporto di valore la complessità è vissuta e dinamica, i sentimenti, le emozioni, s’intrecciano con la razionalità, la logica in dialoghi, ora profondi ora leggeri, rivelatori e generatori di senso e di storia. C’è una consonanza elastica che trova libertà di espressione e fiducia che può permettere la costruzione di progetti di vita. La vera amicizia è quindi fatica, lotta per la sua affermazione e continuità, il rapporto è coltivato, ci si fida e confida è conquistato con tenacia perché l’altro è trattato con valore. Il grande tema è quello delle reciprocità e del suo equilibrio dinamico nel tempo. Nel rapporto d’amicizia, con le sue varie gradazioni, c’è risonanza e si può “crescere” insieme facendo crescere la qualità di quello che costruiamo, senza perdere la propria identità, anzi rinforzandola attraverso il dialogo. In questo nostro tempo di povertà, di banditismo dilagante, di crisi etica, di anoressia emotiva, di pornografia dei sentimenti, questo valore è in diminuzione drammatica, e diventa un altro costo nascosto, pesantissimo, della nostra vita insieme e della nostra partecipazione democratica. “Amici, non ci sono più amici”, come affermava Deridda e aggiungeva: «non c’è democrazia senza rispetto della singolarità o dell’alterità irriducibile, ma non c’è neanche democrazia senza “comunità degli amici”».