Altieri: Svolta sul lavoro
ma il difficile viene ora

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Il Job’s Act? Per l’Italia è una svolta. Certo, non ne vedremo presto i frutti. Ma quel che conta è che, finalmente, si va nella direzione giusta. Il Job’s Act? Per l’Italia è una svolta. Certo, non ne vedremo presto i frutti. Ma quel che conta è che, finalmente, si va nella direzione giusta. Anche se al Governo resta molto, moltissimo da fare. Il difficile viene ora”. Chi parla è Rosario Altieri, 62 anni, campano di Sarno, da gennaio presidente nazionale dell’Agci, l’Alleanza delle Cooperative Italiane, con l’obiettivo dichiarato di portare a termine, entro due anni, ”l’unione organica del movimento cooperativo italiano rappresentato, oltre che da Agci, da Confcooperative e Legacoop”. Presidente Altieri, che cosa la convince del Job’s Act? L’aver finalmente stabilito il principio della flessibilità del mercato del lavoro, sia in entrata che in uscita.Non è più il tempo delle rigidità contrattuali, le quali, anziché assecondare la realtà produttiva italiana, costituiscono un freno allo sviluppo. In un momento drammatico come questo, poi: in cui le imprese italiane hanno bisogno di competere ad armi possibilmente pari sui mercati mondiali. Ma non teme, come dicono i critici da sinistra del decreto, che ciò comporti una precarizzazione dei posti di lavoro? Sciocchezze. Questo tipo di contestazioni è fuori della realtà e chiaramente strumentale.Tesi ideologiche usate a fini politici. Casomai sarebbero altre le critiche da fare al Jobs Act.. Cioè? Non mi convince, ad esempio, la decisione di abolire i i contratti Co.co. pro a partire dal 2016. Perché una cosa è limitare e sanzionare gli abusi, un’altra proibire l’uso di una forma contrattuale che ha prodotto effetti anche positivi. Ma il problema di questo Paese è che spesso si confondono le cause con gli effetti. Ecco dunque una questione sulla quale bisognerà ritornare. Come vede, le critiche al decreto non mancano, ma sono di tutt’altro segno rispetto a quelle mosse dalla sinistra radicale. Ma quando se ne vedranno gli effetti pratici, in termini di sviluppo e occupazione? Non creiamo illusioni. Queste misure, da sole, non produrranno occupazione. Ma servono a rendere più equilibrato il rapporto tra impresa e lavoratore. La crescita non dipende dalle regole che ci diamo, ma dalla capacità produttiva del sistema, dal suo grado di competitività. Insomma: perché cresca l’occupazione bisogna mettere mano a una vera politica industriale e di sviluppo. Vuole dire che al Sud è inutile farsi illusioni? Sono decenni che i Governi succedutisi alla guida del Paese sono privi di una politica e di una strategia per il Sud. Nessuno si pone più il problema del riallineamento delle condizioni economiche tra le varie aree del paese. Il vero problema del Mezzogiorno è la sua arretratezza infrastrutturale. Per non parlare della criminalità organizzata la cui presenza (che oramai si estende ad altre aree del Paese) condiziona da molti anni la crescita del Sud. E di che cosa avrebbe bisogno, allora, il Mezzogiorno? Come le dicevo prima: innanzitutto di una politica che punti al riequilibrio infrastrutturale del Paese. Il che, detto per inciso, decongestionerebbe anche molte aree del nord, ormai sature, che non possono sopportare nuovi insediamenti. Poi di una strategia creditizia che assecondi le capacità del territorio: con una differenziazione dei tassi d’interesse tra nord e Sud. Infine, di una classe politica più attenta, diciamo così, alle esigenze del territorio e delle imprese locali. Insomma, il suo è un ottimismo moderato… Io mi limito a prendere atto che, pur con molti se, ci si sta avviando lungo la giusta direzione. Ma il difficile viene ora. Bisognerà vedere se il Governo sarà capace di andare avanti con coerenza lungo la strada intrapresa.