Il mondo si sta rapidamente sviluppando verso il multipolarismo, ma i Paesi egemonici esistenti non sono disposti a rinunciare ai propri interessi acquisiti. Alcuni altri Paesi nutrono dubbi sull’ignoto mondo multipolare e non hanno consenso sui valori fondamentali dell’ordine globale.
I Paesi di buona volontà sono sempre stati impegnati a creare un sistema multipolare equo con le Nazioni Unite al centro e un mondo di globalizzazione economica universalmente inclusivo, e non per pochi escludendo i molti nei quali vi sono i Paesi più poveri e in via di sviluppo.
La stantia letteratura conflittuale occidentale a senso unico di «democrazia contro autocrazia» non può risolvere le attuali sfide che il mondo sta affrontando. Lo studioso Zhao Hai – direttore del Dipartimento di ricerca politica internazionale, think tank nazionale sulla strategia globale presso l’Accademia cinese delle scienze sociali – sostiene che la comunità internazionale deve partecipare congiuntamente alla costruzione di un nuovo sistema di vero multilateralismo, e che anche la maggior parte degli studiosi di affari internazionali stanno ragionando in tale direzione.
Dopo la fine della guerra fredda, il mondo è entrato in un “momento unipolare”. Alcuni Paesi occidentali credevano che tutto questo preannunciasse la «fine della storia», ossia un’«èra pacifica sotto il dominio statunitense» che potesse garantire pace e prosperità nel mondo con denaro e potere senza precedenti: una specie di Paradiso in terra per i soliti privilegiati occidentali.
Sì, l’unipolarizzazione ha portato il mondo in un periodo di “iperglobalizzazione”, ha promosso la crescita economica globale generale e l’ascesa del Sud del mondo. Ma il problema è che i Paesi egemonici sono arroganti e hanno perso l’autocontrollo. Credono che la loro strada sia l’unica percorribile, il che è un punto comune tra i Paesi egemonici. Di conseguenza, le loro delusioni hanno portato a guerre continue e spericolate e a divisioni interne, minando in ultima analisi l’ordine internazionale basato su regole costituite dopo la II Guerra Mondiale dall’Organizzazione della Nazioni Unite e dagli Accordi di Helsinki del 1975.
La logica dietro a tutto ciò è semplice: se le regole del gioco non si applicano ai giocatori principali, chi altro vorrà partecipare?
Il politologo norvegese Glenn Diesen ha sottolineato nel suo libro di quest’anno The Ukraine War & the Eurasian World Order che il mondo oggi probabilmente sta attraversando un «periodo di vuoto». Nel libro è affermato che mezzo millennio di egemonia occidentale è finito, e la maggior parte delle persone in tutto il mondo sono sempre più ansiose di costruire un ordine mondiale basato sulla multipolarità e sull’uguaglianza della sovranità. Aggiungiamo che tuttavia, nonostante i difetti fatali dell’egemonia liberal-capitalista, un nuovo sistema-Westfalia multipolare non è stato ancora istituito. Però è rimasta l’egemonia del dollaro statunitense che, come tutti sappiamo, serve gli interessi degli Washington ed è uno strumento della Casa Bianca per sfruttare e imporre sanzioni arbitrarie ad altri Paesi. Però non sembra esserci alcuna alternativa praticabile al dollaro che possa meglio svolgere il suo ruolo di valuta standard o intermedia o di riserva.
Il problema in realtà ha tre aspetti: in primo luogo, i Paesi egemonici rifiutano di rinunciare ai propri interessi acquisiti; in secondo luogo, le parti interessate hanno paura del caos e della fattibilità di nuovi sistemi “non dimostrati”; in terzo luogo, nel processo di ristrutturazione dell’ordine internazionale manca il consenso sul principio di equa condivisione. In breve, il mondo è bloccato in una situazione imbarazzante.
Anche se è inevitabile procedere verso il multipolarismo, nessuno è sicuro di come si svilupperà il futuro perché le loro visioni e i loro interessi sono diversi e addirittura opposti tra loro, per cui fomiti di guerra e conflitti ad alta e bassa intensità.
Proprio come la globalizzazione squilibrata ha creato “vincitori” e “perdenti” nello sviluppo economico e ha fatto precipitare molti Paesi nella polarizzazione politica, la tendenza al multipolarismo ha anche aumentato significativamente l’ansia di alcuni.
Con l’arma della finanza e del commercio e il confine tra spazio fisico e cyberspazio, molti studiosi hanno iniziato a credere che il futuro mondo multipolare diventerà una pericolosa «zona di guerra» che è allo stesso tempo imprevedibile e volatile, e che la politica delle grandi potenze e le loro iconiche jungle laws tornerà alla ribalta. I Paesi hanno dovuto formare alleanze di sicurezza per la protezione, formare blocchi economici per il mantenimento della catena di approvvigionamento e si sono uniti a organizzazioni che la pensano allo stesso modo per la stabilità politica e istituzionale.
Il modello di governance globale – ossimoricamente ingovernabile anno dopo anno – e stabilito nel corso dei decenni precedenti sta andando in pezzi man mano che il sistema internazionale si frammenta, e distrugge la capacità della società umana di rispondere alle sfide comuni e collettive.
Aspetto ancora più importante è che se il mondo multipolare scivolasse in una “feroce competizione” fuori controllo, allora il contributo di un’intelligenza artificiale controllata da pochi è in grado di causare un’apocalisse nucleare che una volta sfuggita da mani umane, può portare a quei collassi totali. Questi spesso li gustiamo nelle proiezioni distopiche di fantascienza o fantastoria nelle nostre comode poltrone di casa o in un multisala, pensando «è solo un film».
Ogni giorno i titoli dei giornali sono pieni di notizie negative, ma la realtà non è del tutto pessimistica e senza speranza. Dal momento che l’ordine esistente non è in grado di far fronte alle sfide attuali, che tipo di nuovo ordine dovrebbe costruire il mondo?
L’unica posizione di principio è un mondo multipolare equo e ordinato ed una diffusa universalmente globalizzazione economica benefica e inclusiva. Equa multipolarità significa incarnare uguali diritti, pari opportunità e pari regole tra tutti i Paesi. Una multipolarità ordinata significa rispettare congiuntamente gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite e aderire tutti alle norme fondamentali riconosciute della politica internazionale.
Oggi i BRICS e molti altri Paesi del Sud del mondo sperano di migliorare il sistema internazionale con le Nazioni Unite al centro e si oppongono risolutamente a qualsiasi tentativo di indebolire o aggirare questo sistema.
La base di una proposta razionale è che le Nazioni Unite rappresentino il vero multilateralismo, collegando strettamente più Paesi e rispettando regole riconosciute. Il sistema di governance multilaterale, con al centro le Nazioni Unite, è stato costruito sulla vittoria conquistata a fatica nella guerra antinazista e sulla dolorosa esperienza del precedente conflitto mondiale, definito da papa Benedetto XV, l’inutile strage, il 1° agosto 1917: « «Con la pace – disse – niente è perduto, con la guerra tutto può esserlo».
Tuttavia, queste intenzioni sono state a lungo calpestate e distrutte dalle lotte di potere bipolari e unipolari, col sostegno delle forze monopolistiche e liberal-capitalistiche. Per cui la necessità di un vero multilateralismo non è mai stata così urgente, né le sue prospettive più promettenti.
Ciò di cui il mondo ha bisogno oggi non è la narrazione binaria e conflittuale occidentale della predetta e ipocrita «democrazia contro autocrazia», ma un multilateralismo efficace per gestire e risolvere attriti e problemi multipolari attuali e potenziali.
Da questa prospettiva, la comunità internazionale ha bisogno che i Paesi che nutrono tali speranze e propositi si uniscano e migliorino congiuntamente i sistemi e le istituzioni multilaterali nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite. Molti Paesi sono in prima linea nel nuovo percorso multipolare mondiale, e stanno proponendo iniziative di sicurezza e sviluppo globale nonché prese di posizione di civiltà e svolgono il ruolo di mediatori nelle controversie internazionali.
Solo quando più Paesi parteciperanno alla costruzione di un nuovo sistema di multilateralismo il mondo potrà uscire più rapidamente dall’attuale dilemma del «periodo di vuoto» di cui ha parlato il summenzionato studioso norvegese.