La moda italiana. Quella che ha fatto la storia, che è diventata un simbolo anche oltreoceano. I sarti, icone del buon gusto e della raffinatezza, i famosi ambasciatori di stile nel mondo. Napoli, Fondazione Mondragone: la storia dello stile napoletano è raccolta qui. I segni, le tracce il ricordo. Abiti preziosi che hanno segnato le epoche. Si scopre, in questi giorni, anche la declinazione al maschile della moda. E la traccia tangibile al Museo della Moda di Napoli, dal 24 febbraio, è segnata dalla sartoria Caraceni di Milano. Oh perbacchissimo. Fin da Milano venne. Una mostra degli abiti del grande sarto, da definirsi opere, come ogni vera espressione d’arte. Armonia di linee e proporzioni sposata ad una tecnica impeccabile: ogni corpo vestito dal grande Domenico, ha trovato sempre le giuste proporzioni e la giusta eleganza. Busti lunghi, chili di troppo il grande sarto riusciva ad armonizzare l’abito e esaltare gli aspetti positivi di ogni cliente. Non più corpi coperti ma vestiti, proprio come per le signore. La vanità si vestì al maschile. Qualsiasi maschietto, amante del vestire classico, dei tagli impeccabili, delle cuciture senza imperfezioni, delle giacche senza orpelli, delle maniche senza ricordo della prima cerimonia ufficiale dopo la nascita, conosce e sa. Buona idea comunicarlo anche ai più giovani. Qualcuno, forse meno datato, e soggetto alle attuali angherie dei nuovi arbitri elegantiarum, pur non avendo ancora incontrato le opere, cucite dal sarto per i vari Pertonius degli anni dorati, può finalmente fissare il suo incontro con l’alta moda maschile e, finalmente, entrare in contatto con gli abiti di chi la moda non l’ha subita o concordata, ma l’ha fatta e sul serio. Benvenuti alla mostra degli abiti realizzati dal grande sarto Domenico Caraceni. Da Aristotele Onassis, a Gianni Agnelli, fino a Gianni Morandi. Ogni persona desiderasse un vestito perfetto e dall’inconfondibile fattura si rivolgeva al grande sarto che, per ognuno dei suoi clienti, aveva l’accorgimento sartoriale personalizzato. Non più la persona che si infilava, con maggiore o minore eleganza, in un vestito, ma pezzi unici nati per ogni singola persona da una straordinaria fusione di competenza e creatività. Bello davvero. La mostra offre così un campionario di abiti che hanno fatto la storia della moda per uomo. L’iconico doppio petto, in quel tessuto di lana disegnato ad incrocio di quadri grandi e piccoli, che fu tanto caro a Gianni Agnelli, oppure l’abito da gran sera del grande armatore greco. C’è anche un bonheur per le signore. Quel cappottino nero, sempre perfetto per ogni occasione, che il sarto realizzò per Jacqueline Bouvier ex Kennedy poi Onassis. Ricamato di cristalli però. Una robina non proprio qualsiasi, non proprio per lavare i piatti. Il cappottone del Gianni della canzone italiana, proprio no, non si può dimenticare. Aspettativa, dunque altissima. L’arte del buon vestire maschile è servita nelle belle sale della fondazione Mondragone. Tutto da godere, disse la Speranza. Invece. Un piccolo numero di abiti del grande sarto appoggiati su anonimi manichini, didascalie mono lingua, nessun coinvolgimento del visitatore: musica, filati, spiegazioni. La responsabile della maison Caraceni cordialmente si presta alle richieste di spiegazioni, ma un conto è la Vernice un altro l’esercizio quotidiano dell’esposizione. La visita si esaurisce presto, basta un giro, insieme all’interesse del visitatore. La moda, i vestiti, la fiera della vanità e del costume. Che succede baby. Dove sono le donne e gli uomini che sognano e rivivono fasti d’altri tempi, di quella high society di cui si legge solo sulle riviste di pettegolezzi. Alcuni manichini disposti più o meno in semicerchio, apperò che inventiva, e ciao a tutti. Non pervenuto il legame con il motivo della loro esposizione. Caraceni dove sei. Non un semplice ago con filo appuntato sul bavero di una giacca, un rocchetto di cotone lasciato sul piedistallo, una foto o un suono. Dieciminutidieci ed il visitatore guadagna l’uscita. Del grande sarto, dei suoi capolavori e della sua clientela, della sua storia nulla rimane, perché nulla è stato comunicato. Un museo della moda proprio per il suo contenuto dovrebbe essere in grado di offrire al visitatore tutto quanto serve ad affascinarlo e inchiodarlo, di fronte ad un abito. Può sollecitare ognuno dei 5 sensi e può osare ciò che alcuni paletti intellettuali, poco evoluti, impediscono nelle esposizioni museali o di altra arte. Gestire ed allestire un museo della moda può essere un enorme banco di prova per l’applicazione delle tecniche dell’interpretazione. Sembra facile ma non è. E si vede.