Al Pan la fotografia poetica di Comes e Iannone

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di Fiorella Franchini

“Le belle fate/dove saranno andate?” scriveva Giani Rodari. Erano scappate perché nessuno voleva più ascoltarle ma Liliana Comes. illustratrice, e Renato Iannone architetto e artista, le hanno mandate a chiamare. A dire il vero, solo Alma è tornata, un po’ triste, un po’imbronciata, forse perché sperava di ritrovare boschi e giardini, almeno un castello diroccato e, invece, si è persa dentro scenari urbani desolati, paesaggi abbandonati. Ne è scaturito un grido muto, lacerante che le trenta opere esposte al PAN fino al 26 febbraio hanno trasformato in una ribellione dell’anima.

James Matthew Barrie sosteneva che le fate essendo tanto piccole “hanno spazio sufficiente per ospitare un solo sentimento alla volta” e così ogni opera contiene un’emozione diversa che cambia come lo sguardo di ognuno di noi. Basta l’incontro con una singola immagine per capire di trovarsi di fronte a una fotografia poetica: la macchina fotografica e la realtà che essa riprende, combinate con la tecnica illustrativa e l’elemento fantastico agiscono in profondità, esprimendo qualcosa che è dentro e oltre lo scatto e il mondo che ritrae.
Una fotografia poetica richiede, come ogni altro componimento artistico, un estremo rigore linguistico che si traduce in una precisa estetica che predilige il non accontentarsi di ciò che si crede di vedere, per interpretarlo invece in modo consapevole.
Poesia visiva che sommerge le linee, i bianchi, i neri, i grigi, i volumi sottraendoli al vocabolario comune perché parlino un nuovo linguaggio, aggiungendo il sentimento e il pensiero umano alla quotidianità indifferente, ritrovando nella realtà un nuovo senso, come qualcosa che pare sempre esistito solo nel momento in cui lo si riconosce. Immagini che estrinsecano e immortalano il lato intimo o surreale di un degrado diffuso, una ricerca documentaria che rilegge il quotidiano come una costante capacità di meravigliare, di regalare sensazioni impreviste, spiazzanti.

Per Comes e Iannone, il progetto è prima di tutto un bisogno privato, un desiderio di “registrare”, il soddisfacimento di una necessità di azione, uno sguardo comune verso situazioni di incuria e di scempio ambientale, attraverso una diversa modalità espressiva che associa al reportage di denuncia una favola poetica per richiamare l’attenzione su problematiche civili e sociali. Il territorio partenopeo e suoi guasti sono solo un punto di partenza; l’idea artistica degli autori mira a coinvolgere altri luoghi e altre forme di decadimento. Un programma itinerante nel tempo e nello spazio di dissenso culturale diffuso e fecondo, di affrancamento dalla sfiducia.
Gli autori hanno sostituito le retoriche grida di protesta con le “Grida di Fata” introducendo un personaggio fantastico al quale è delegata la rappresentazione di un universo delle emozioni e della bellezza, chiamati a salvare il mondo dall’abbandono causato dall’essere umano.
Composizioni che riescono a toccare l’intimità dei valori e costruiscono un teatro variopinto di suggestioni, pur nella purezza del bianco e nero, che afferisce all’onirico, alla psicologia, a quell’oltre che ispirò Lewis Carroll e i Surrealisti. Torna subito in mente Kertész, quando dichiarò: “La fotografia è la mia sola lingua. Io non faccio semplicemente delle foto. Io mi esprimo attraverso le foto”.

Il gande impatto visivo è il segno di una ricerca artistica attenta e appassionata. Visitando la mostra, la mente e il cuore si esercitano a osservare e a pensare, a non lasciarsi sfuggire il colore del cielo, la fragilità di un filo d’erba, lo stupore di uno sguardo, a non mostrarsi indifferente di fronte al male e al brutto. Una consapevolezza ritrovata che è poi il grande dono dell’Arte e ci consente di guardare il mondo in trasparenza. Alma appare e scompare nelle immagini come una filigrana dentro un foglio di carta e custodisce un segreto: “La Terra è arte, il fotografo è solo un testimone”. Le fate sono strane, impalpabili, sorprendenti, chi dice che non esistono non sa guardare la vita, non sa ascoltare il richiamo della speranza.