Al Mann le meraviglie della Magna Grecia e il valore delle contaminazioni

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di Fiorella Franchini

Erano mercanti, contadini, allevatori, artigiani e venivano da diverse città della Grecia antica per commerciare, per sfuggire alle tensioni sociali dovute dall’aumento della popolazione e alle magre risorse economiche. Migranti che si stanziarono nella parte meridionale dell’Italia, l’attuale Basilicata, Calabria, Campania e Puglia, scegliendo la località dove stabilirsi secondo l’indicazione che dava l’Oracolo del Santuario di Apollo a Delfi, all’ecista a capo della spedizione , e fondando colonie come Pithecussai sull’isola d’Ischia, Kyme e Metapontion, poi Taras e Rhegion. Vennero con le navi, attraversando il Mediterraneo, colonizzarono non una terra di nessuno ma fertili territori contesi tra Opici, Ausoni, Osci, Tirreni e questo incontro tra la cultura della madrepatria e le tradizioni italiche, creò quell’identità giunta a noi con il termine di Megàle Hellàs, contraddistinta da ricchezza economica e splendore in campo culturale e artistico. La riapertura della collezione Magra Grecia al Museo Archeologico Nazionale di Napoli “restituisce una parte fondamentale della sua identità” ha dichiarato il Direttore Paolo Giulierini, perché riconsegna le radici di un territorio che è storia e mito di tutto l’Occidente. Dopo oltre 20 anni torna un allestimento tra i più ricchi e celebri al mondo che è il risultato di un vasto piano d’interventi per il riassetto dell’ala occidentale dell’edificio destinata ad accogliere le testimonianze dell’epoca preromana e a fungere da portale per i grandi musei tematici del Meridione. Quattordici sale in cui si ricostruisce il mosaico di una specificità culturale unica che va dall’VIII sec. a. C. sino alla conquista romana. Si parte con alcune sepolture da Pithekoussai e Cuma, databili tra la seconda metà dell’VIII e gli inizi del VII sec. a. C., per documentare le fasi più remote della “colonizzazione” greca del Sud Italia; gli oggetti, che facevano parte dei corredi funebri, rappresentano il primo esempio per definire la convivenza fra indigeni e greci in Campania. Procedendo nelle sale successive, si descrive l’universo mitico e religioso, quello conviviale e militare passeggiando letteralmente nella storia poiché si cammina sui magnifici pavimenti a mosaico provenienti da Villa dei Papiri di Ercolano, da edifici di Pompei, Stabiae, dalla villa imperiale di Capri, finalmente restituiti alla loro incomparabile bellezza attraverso un enorme lavoro di recupero e restauro. Reperti preziosi provenienti da Ruvo, Canosa e Paestum, testimonianza dell’affermazione delle popolazioni di origine italica, campani, sanniti, lucani e apuli, che negli ultimi decenni del V sec. a.C., si sostituirono ai greci nell’amministrazione delle città più importanti. Splendide le celebri lastre dipinte rinvenute nella Tomba delle Danzatrici, scoperta a Ruvo il 15 novembre 1833. La scena di danza funebre, che si snoda sulle pareti della tomba, a tutt’oggi una delle più alte attestazioni della pittura antica nel Sud. Tra i maggiori acquisti che il governo borbonico riuscì ad assicurare al Museo, spiccano le coppie di frontali e pettorali per cavalli, provenienti da una sepoltura ruvestina di un cavaliere di rango principesco, crateri, vasi colossali, come il Cratere di Altamura della metà IV sec. a.C., uno dei più monumentali vasi apuli pervenuti dall’antichità, recentemente restaurato dallo staff del Getty Museum, e decorato da una rara raffigurazione del mondo degli Inferi, e ancora collane, bracciali, orecchini e altri gioielli, preziosi ornamenti indossati per ostentare la propria appartenenza sociale. Lo sguardo si rivolge anche alla Campania interna e ai contesti di Nola a Cales (l’odierna Calvi Risorta nel casertano), aree che rappresentarono, uno snodo nevralgico per connettere Italia centrale e meridionale, costa tirrenica, fascia appenninica e versante adriatico della penisola. Tra le opere inserite nel percorso espositivo, è possibile ammirare l’Hydria Vivenzio, uno dei vasi più celebri che il mondo antico abbia restituito. Un viaggio delle meraviglie reso accessibile a un vasto pubblico grazie alla modernità dell’allestimento dell’Arch. Andrea Mandara, all’attento lavoro scientifico di Enzo Lippolis, Maria Lucia Giacco, Floriana Miele, alla collaborazione tra pubblico, privato e istituzioni, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Università La Sapienza, Mondadori Electa per il bellissimo catalogo guida. Un percorso che porta indietro nel tempo, ricorda popoli e personaggi della ricerca archeologica e, allo stesso tempo, ci conduce drammaticamente al presente, rivaluta le contaminazioni, la mescolanza di usi e tradizioni, aprendo un dibattito consapevole sulla realtà contemporanea. «Ciò che chiamano Italia era Magna Grecia» scrisse il poeta romano Ovidio; oggi siamo il frutto di quel passato, genti di terra e di mare che impararono a convivere. Chissà se saremo capaci di lasciare un’eredità altrettanto straordinaria.