Accattonaggio: un esercito di minori all’angolo delle strade

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Con la mano tesa, percorrono le strade del nostro paese. Accovacciati a terra come stracci o vagabondi tra le auto in sosta. Sono loro, il popolo degli indigenti, dei reietti. E’ la dura legge della sopravvivenza di molti bambini, costretti a chiedere l’elemosina ai semafori o sul sacrato delle chiese. Capita di incontrarli sui bus urbani, in stazione, tra le bancarelle dei mercati rionali. Scene quotidiane di un’ infanzia negata. Un bicchiere di plastica da riempire e qualche santino per fare presa sulla carità cristiana e sulla generosità dei passanti durante le ore convulse dello shopping. Molti di questi bambini presidiano gli ingressi di bar, tavole calde e supermercati affermando di “aver fame”, ma in realtà accettano solo monete. Il passante di turno che si offre di comprare sul momento qualcosa da mangiare non è particolarmente gradito. Non è un mistero che tutto ciò rientri nella severa logica familiare: portare a casa più denaro possibile. Un passaggio antico quanto il mondo, l’elemosina, un tempo, veniva indentificata con il nome di “questua”: che, secondo la tradizione cristiana, indicava l’andare di porta in porta a elemosinare offerte, in particolare cibo o denaro. Oggi, a distanza di millenni, la prassi non ha modificato il suo significato, ma ha tramutato il nome in altro: accattonaggio. Con l’avvento della crisi economica, che ha portato molte famiglie a fare i conti con le difficoltà economiche, specie famiglie già indigenti ed in difficoltà, come i rom, gli extracomunitari, che per sopravvivere ricorrono all’elemosina o vendere piccoli oggetti. All’angolo delle strade vi è un vero e proprio esercito di minori. Il fenomeno dell’accattonaggio minorile ha subito un’impennata a ridosso degli anni ’80, fenomeno partito dai minori slavi sbarcati sulle nostre coste. Ad oggi, accanto a queste 3-4mila presenze sul territorio nazionale, si sono aggiunti fanciulli provenienti dal nord Africa e dall’Albania, sempre più vittime di organizzazioni dedite all’immigrazione clandestina. Bambini che così vengono sottratti all’infanzia, al gioco, all’istruzione, ad una vita di opportunità, di sapere e di occasioni. Ad oggi, l’accattonaggio è un reato penale, l’art. 670 del codice penale, prevede la reclusione fino a tre mesi per chiunque elemosini denaro in luogo pubblico. Una sentenza del 1995 ha fatto una distinzione tra le diverse forme di accattonaggio. Pertanto, se la richiesta di denaro è legittimata da “umana solidarietà”, se fa “leva sul sentimento di umana carità” e se “non intacca né l’ordine pubblico né la pubblica tranquillità”, allora essa è lecita. Quindi, distinguere un tipo di accattonaggio da un altro diventa una cosa molto complessa, soprattutto se non si è nelle condizioni di valutare quale sia il limite per  la “reale povertà” o di prevedere l’utilizzo finale del denaro richiesto, ossia se poi questo viene utilizzato per l’acquisto di alcool, droga o altri beni non legati ad uso di primaria necessità. E i bambini lungo le strade che chiedono l’elemosina? Anche in questo caso, con la sentenza n. 44516/2008, la cassazione ha stabilito che una madre Rom che portava i bambini a mendicare al semaforo era stata assolta dall’accusa di “riduzione in schiavitù”. Infatti, l’accattonaggio con minori rom al seguito non è necessariamente una forma di maltrattamento o sfruttamento di minori. In pratica, secondo la sentenza, anche i bimbi rom chiedendo l’elemosina (per sopravvivere) contribuiscono all’economia familiare. In altre parole, i giudici non hanno autorizzato la “questua” dei rom con i minori al seguito, hanno invece contestato l’equazione: elemosina sta a rom come sfruttamento di bambini sta a schiavitù.
Il fenomeno è complesso quanto complicato: molti di questi bambini rappresenta per i genitori una fonte economica. Un fatto che scandalizza noi, non le loro famiglie. Credo che ci vorrà molto tempo, forse un equivalente economico da offrire e un grande lavoro di approfondimento, per venire a capo del problema Ma ci si scontra con la carenza di assistenti sociali che possano vigilare, segnalare in tempo ai Tribunali, ancor di più garantire servizi e benefici economici alle famiglie. Così, se il contrasto alla mendicità non è supportato da adeguati strumenti di reinserimento nella società, si rischia semplicemente di cadere in azioni repressive. Eppure il principio ispiratore è la legge 285 del ’97 che è il principale strumento di attuazione della Convenzione internazionale dei Diritti dell’Infanzia, ratificata da quasi tutti paesi del mondo. Essa invita Comuni, singoli o associati, a promuovere condizioni di vita dirette a garantire a tutti i bambini e le bambine, una crescita equilibrata e dignitosa. Sembra un difficile cammino che il nostro paese non ha ancora compiuto per salvare dagli angoli della strada e restituirli all’infanzia questi bambini.

Maria Rosaria Mandiello