A che punto è l’agricoltura in Italia. Riflessione dopo le manifestazioni “trattorizzate”

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in foto la protesta degli agricoltori (Imagoeconomica)

Gli agricoltori in generale e quelli italiani in particolare, con le manifestazioni “trattorizzate”, fino a oggi un primo risultato senz’altro lo hanno ottenuto. È quello di essere riusciti a far concentrare le luci della ribalta sui loro problemi. Nonostante sia in corso a San Remo l’ annuale manifestazione canora per antonomasia, il festival, la protesta della gente dei campi, messa in essere servendosi del loro mezzo di lavoro principale, il trattore, ha avuto la forza di far concentrare l’attenzione del pubblico televisivo e non anche sui problemi che affliggono il loro settore produttivo. A ben considerare, quegli stessi triboli influiscono su tutti i cittadini europei. È così opportuno tentare di capire i motivi che da lungo tempo penalizzano il lavoro nei campi del Paese. Essi sono simili per costituzione alle realtà che, a ragione, nel nord e nel centro dell’Europa sono state definite da studiosi di diverso genere le nutrici delle città.Tra quegli uomini di cultura vanno annoverati anche i viaggiatori del ‘700 e dell’800, che mettevano l’ Italia al primo posto tra le mete da raggiungere. Non solo per il patrimonio artistico, anche per le bellezze naturali, tra di esse le campagne molto colorite. La prima considerazione che è possibile esprimere con poco rischio di sbagliare è che il Giardino d’ Europa, altro nome dato al Paese da quei viaggiatori, deve essere considerato ancora e con convinzione principalmente agricolo.Tale affermazione non è di per se una forma di contraddizione, in quanto da tempo l’ Italia è tra i primi dieci paesi industrializzati più degli altri.

Le attività agricole, per essere considerate economiche, cioè ricadenti tra le attività dell’uomo che danno reddito e producono ricchezza, devono rispondere a determinati requisiti. Il primo che deve essere considerato fondamentale è che in essa, quanto è realizzato dalla mano dell’uomo che combina capitale e lavoro, cioè i fattori della produzione, detratte le spese sostenute, devono rimanere per chi lo esegue, oltre al compenso per il lavoro effettuato, anche il risultato economico, più esplicitamente un utile. Nel corso della storia, anche limitandosi a osservare a grandi linee l’ evoluzione del lavoro della terra, non è difficile farsi un’ idea di come siano andate realmente le cose. È necessario così prendere atto che, partendo dal periodo dei Fisiocrati, attraversando l’epoca dei Feudatari, dopo tanti anni si è giunti a una stagione,  il secolo scorso, quando si è cominciata a dare un’ impostazione pressoché oggettiva ai vari problemi della realtà contadina. Una visione di quel mondo piuttosto veritiera è possibile intravederla nel dipinto del pittore Pelizza da Volpedo “Quarto Stato” e nel film del Regista Bertolucci “Novecento”. Tra gli eventi più recenti che hanno inflitto ferite poco meno gravi di quelle mortali al Settore Primario, devono essere annoverati senza esitazione le Riforme Fondiarie. Con l’aggiunta di altri interventi del legislatore che sono stati poco più che un prosieguo delle precedenti, anche se sotto mentite spoglie. Così, dopo ognuna delle due guerre mondiali, tra di esse le guerre coloniali, i Governi dell’epoca pensarono di affidare ai reduci di quei conflitti unità coltivabili minime  ottenute dallo smembramento dei latifondi. Tanto a mò di indennizzo e  perché potessero trarne un profitto con cui poter vivere insieme alla famiglia. Furono quei provvedimenti, il secondo gestito dall’ONCR, Opera Nazionale Combattenti e Reduci, che per un insensato modo di agire paternalistico, talvolta sconfinato in demagogia vera e propria, permise che i latifondi entro i confini nazionali fossero ridotti a brandelli.

Il tutto nonostante che, ciò era ben noto agli autori del progetto, essi singolarmente non raggiungessero le dimensioni necessarie a produrre un reddito, seppur modesto. Si accelerò in tal modo l’esodo del popolo delle campagne alla volta di altre nazioni, talvolta “passando i’ acqua” , come si diceva di coloro che  si erano imbarcati per varcare l’Oceano. Fu così che quelle superfici agrarie, dotate di un minimo di pertinenze, rimasero abbandonate e ancora attualmente versano in quello stato. Andò diversamente per i Francesi, quelli definiti “Pied-Noir “, che alla fine delle guerre coloniali in Nordafrica ricevettero in affidamento estensioni congrue di terreno, a patto che fossero rimasti per un certo periodo in quei territori d’ oltremare. Continuando a descrivere il comportamento del Governo del Paese, si possono estrapolare altre perle, come quella della Motorizzazione Agricola. I Consorzi Agrari, cooperative messe in piedi all’inizio del secolo scorso, che prima della recente debacle avevano operato più che bene, furono affidatari per la vendita delle macchine agricole  FIAT,  dalla Fedeconsorzi, la loro federazione di livello più alto, concessionaria esclusiva per tutta l’Italia. Un censimento non ufficiale, comunque di categoria, riportava che, a metà degli anni ’70, quando gli studiosi di meccanizzazione agricola si trovarono d’accordo che in Italia, mediamente, poteva essere sufficiente un trattore per ogni dieci ettari da lavorare, i Consorzi Agrari, forti di poter intermediare anche il credito agrario agevolato, prerogativa allora solo del Banco di Napoli, fecero abbassare quella soglia a tre ettari. E non fu un bene. Sempre in quel periodo negli USA, a opera di economisti californiani, cominciò a prendere piega il concetto che capitale e lavoro combinati insieme indirizzano la produzione verso l’alto solo nel primo tratto. Se si aumenta, una per volta, la quantità di quelle componenti, si crea squilibrio. In Italia, per la precisione alla Facoltà di Agraria di Firenze, il professor Scaramuzza ampliò quella considerazione, che divenne da allora punto di riferimento internazionale. Quegli studiosi dovevano aver visto lontano, perché presto nel Paese, il settore della meccanizzazione agricola in generale divenne saturo e ancora oggi ne sta scontando i postumi. I Consorzi Agrari sono un vago ricordo e, tanto per non cambiare, sono gli agricoltori che, ancora oggi, ne stanno pagando le conseguenze. Domani chissà quali saranno i provvedimenti per il settore, soprattutto quelli che varerà la UE. Non tralasciando che, nel caso la situazione dovesse migliorare, bisognerà ringraziare  anche Sanremo, la cittadina nonché quello con l’aureola, che probabilmente sta già guadagnando fedeli tra gli agricoltori.