La questione strategica del movimento politico-militare uighuro

Gli obiettivi geopolitici del movimento politico uighuro in Europa e nelle tante aree in cui si è impiantato (America Latina, Europa, Australia, USA) sono, in linea di massima, queste: 1) “coprire” e deformare  i segnali  informativi della rete cinese antijihadista, 2) isolare e separare sempre più  la Cina Popolare dal mondo occidentale, 3) raccogliere fondi per il terrorismo interno ed estero degli uighuri nello Xingkiang, 4) creare infine la copertura mediatica, in Occidente, per una futura e prossima guerriglia islamista in territorio cinese, creare quindi  l’immaginario positivo  quali freedom fighters per i jihadisti uyghuri operanti in Cina.

  La sede del World Uyghur Congress è a Monaco di Baviera, area al centro per ogni movimento in Europa e fuori, ed è diretta, in veste di segretario, da Dolkun Isa.

   Agli inizi  dell’ottobre  2016 egli ha organizzato  le manifestazioni degli uighuri locali e dei militanti anticinesi occidentali  in USA (Washington e California) e poi in Olanda, e naturalmente a Monaco di Baviera.

  Isa è un organizzatore e un tramite tra il WUC di Monaco e i politici, giornalisti, attivisti occidentali.

 Più di quanto  non si creda, la rete uighura mondiale opera nel campo del soft power, per contrastare la Cina e creare contro di essa un clima negativo nelle classi dirigenti europee.

 Dolkun  Isa ha un lungo report negativo dell’Interpol su di lui, ed è stato posto in carcere in Corea del Sud nel  2009 e non ha potuto avere il visto d’ingresso in India nel 2016.

   Si ipotizza poi che Dolkun Isa stia cercando di fondare una associazione di copertura del World Uyghur Congress, per i consueti “diritti umani”; e con membri non-islamici basata in Europa, con probabili finanziamenti della

 La presidentessa del WUC, che in gran parte indirizza lo stesso Dolkun Isa, è Rebyya Kader,  una ricca donna d’affari uyghura  da tempo residente in USA, a Washington.

 

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  Nel 1999, è bene ricordarlo, la Kader, allora l’ottava donna più ricca della Cina e  già membro del Parlamento cinese, fu messa in carcere per aver venduto agli americani alcuni segreti militari di Pechino.

 Perché, allora,  il dirigente del WUC Dolkun Isa si muove così spesso in Europa? Per organizzare, soprattutto, una stabile defamation della Cina Popolare, al fine di contrastare con successo la linea di Pechino in Europa.

  Isolare Pechino è il primo obiettivo del WUC. Il secondo è quello di far passare la Cina come uno “stato terrorista”, distruggendo quindi i suoi rapporti con tutto l’Occidente.

 Soprattutto ciò può avvenire  nel mondo liberale-radicale, il più legato agli interessi USA e quello più capace di influenzare sia la destra che la sinistra dell’UE.

 Il tutto quindi per colpire, oggi e in futuro, gli interessi cinesi in Europa  e nel resto dell’Occidente.

  In sostanza, il WUC non vuole assolutamente che i Paesi Europei aderiscano alla Belt and Road Initiative di Pechino.

 Rinchiudere la Cina nel suo vecchio quadrante terrestre è, per il WUC, prodromo di una sua possibile sconfitta sul terreno della lotta armata di massa, che potrebbe far scoppiare le tradizionali contraddizioni cinesi: città/campagna, potere militare/partito, quadri medi/dirigenti nel PCC.

 

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 Le sezioni del WUC sono infine  la copertura; e la base di raccolta dei fondi, oltre ad essere la sede strategica all’estero per le future operazioni dell’ETIM (East Turkestan Islamic Movement).

  L’ETIM è  il ramo esplicitamente jihadista del movimento uyghuro, che sta già peraltro  colpendo già obiettivi cinesi nei Paesi dell’area della Shangai Cooperation Organization, come è accaduto in Kirghizistan il 30 Agosto scorso,  con un attentato alla locale Ambasciata Cinese.

  La cintura di sicurezza della SCO è un altro degli obiettivi primari che gli uighuri intendono colpire.

  Una  rete importante il WUC, quindi,  in contatto diretto con la “lotta armata” jihadista uighura.

In Amburgo e nel resto della Germania gli uighuri sono una piccola comunità, largamente interna a quella tibetana e integrata soprattutto con i numerosi lavoratori turchi locali.   Essa accoglie  anche uighuri  fuoriusciti che hanno recentemente organizzato manifestazioni nello Xingkiang, elementi che possono essere utili in una “guerra coperta” contro le delegazioni diplomatiche della Repubblica Popolare Cinese in Europa.

 Gli uighuri che fuggono fanno la stessa strada di quelli che vanno ad aggiungersi al “jihad della spada” che sono oggi oltre tremila: Thailandia, poi Indonesia, infine Pakistan. Da lì o vanno a lavorare, via Turchia, in Germania, o si uniscono ai militanti jihadisti.

  Si deve però  notare che  tutte le manifestazioni che abbiamo osservato mostrano una scarsissima presenza di uyghuri emigrati, spesso “spostati” pubblicitariamente da una città all’altra;  ma invece  vi troviamo una vastissima platea di militanti occidentali dei “diritti umani”, soprattutto  di tradizione liberal-radicale.

   Oltre che ad un numero non trascurabile di manifestanti legati al variegato mondo dell’esodo tibetano, che sono la vera e primaria copertura del WUC.

 Un mondo di specchi, certamente, che presuppone però una sostanziale linea politica pro-USA, per il Tibet “libero” e, quindi, per gli uighuri ugualmente “liberi” dalla “reazione” cinese.

  Se oggi la linea strategica del Pentagono è quella di accerchiare  Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese, due potenze in veloce crescita sia economica che geopolitica, due politiche “antiegemoniste” rispetto al mondo unipolare voluto da Washington, è facile immaginare come i tibetani e gli uighuri vadano benissimo, per gli USA, come elementi di propaganda.

 Infatti gli unici finanziamenti ufficiali al WUC ufficialmente noti sono quelli del National Endowment for Democracy, ben 340 milioni di Usd l’anno, ma poi c’è il MIT, il Servizio  di intelligence turco che sostiene direttamente, tramite l’emigrazione, la rivolta all’interno dello Xingkiang, e magari ci saranno  anche dei fondi da parte dell’Arabia Saudita, che opera nell’area del jihad tramite soprattutto Al Nusra in Afghanistan.

 La stessa area di militanza, guarda caso,  in cui vanno a finire i jihadisti dell’ETIM in Siria, Afghanistan, Pakistan.

 

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  Ma la Turchia vuole lo Xingkiang perché vuole realizzare il suo folle progetto di unificazione panturanica di tutte le etnie turcomanne sotto il suo nuovo sultanato.

 Il NED nordamericano ha sostenuto poi, con fondi e addestratori, la “rivoluzione cremisi” a Lhasa nel Marzo 2008, la “rivoluzione zafferano” in Myanmar in Agosto, Settembre e Ottobre 2007, oltre ad aver sostenuto tutte le altre “rivoluzioni colorate” in Serbia, Ucraina, Kirghizistan e Iran.

 Il National Endowment for Democracy è quindi, con ogni evidenza, lo strumento di soft war e per le operazioni “coperte”  maggiormente usato da Washington e dalla sua intelligence.

E continuerà certo ad operare nell’”Est Turkestan”, come i militanti islamisti locali definiscono lo Xingkiang.

C’è del metodo in questa follia, per dirla con l’Amleto di Shakespeare.

L’enigma è allora risolto: il WUC e le altre reti di sostegno al movimento uyghuro nel mondo sono finalizzate alla strategia nordamericana di contenimento della Cina, e al depotenziamento strategico di Pechino nel suo estero vicino.

  Ma anche a mettere in difficoltà, per evidenti motivi territoriali e tattici, l’unità d’intenti tra Pechino e Mosca.

 Quindi l’ETIM, presente in forze nell’area tribale pakistana, raccoglie fondi per sé stesso ma anche per il jihad locale in Cina, con la propaganda di copertura secondo la quale every jihad is local, “ogni jihad è locale”.

 Ovvero: il jihad globale non ha nulla a che fare con la rivolta in Xingkiang, il che è utilissimo per “pulire” e rendere nazionalista e pacifica l’immagine della rivolta islamica in Cina.

 Ma una parte dei fondi arriva anche dal WUC,  che raccoglie soldi in Europa e in Australia per sostenere non tanto la guerriglia, ma la popolazione uyghura all’interno dello Xingkiang.

  Ma  come arrivano questi fondi? Tramite le ONG.

 Le ONG straniere operanti, prima della nuova  legge cinese, sono: la Bai Yang Public Welfare, diretta da Li Le, che ha sede presso la Scuola di Farmacia dello Xingkiang, finanziata dalla One Foundation di www.sina.com che lavora soprattutto  sulla scuola e la formazione.

 Un’altra organizzazione è la Canadian Co-operative Association, CCA.

  E’ la ONG delle cooperative e delle banche di credito private canadesi. Ha finanziato una struttura di microcredito nello Xingkiang per 4,8 miliardi di Usd.

 Poi, vi è la Fred Hollows Foundation, una organizzazione australiana che opera nell’ambito della salute, soprattutto per quel che riguarda l’oculistica.

Vi è anche, sempre nello Xingkiang, la Good Rock Foundation, una ONG con sede ad Hong Kong si interessa dei bambini orfani cinesi.

  Ancora, nell’area “turcomanna” della Cina Popolare svolge la sua opera Mėdecins sans Frontiėres Belgium, che svolge le sue funzioni soprattutto nell’ambito della cura delle malattie infettive, in particolare dell’AIDS e della SARS.

 Poi,  vi è in zona la fondazione Ninth World, che fornisce sostegno sanitario, educativo, sostegno alla popolazione più povera.

 Ancora un’altra ONG, la Our Free Sky, OFS Volunteer Organization, che fornisce aiuto ai gruppi sociali più vulnerabili, poi ancora  la Sunshine Voluntary Teaching, che si occupa, ovviamente, di insegnamento, infine la Yale-China Association, per gli scambi culturali Cina-Usa.

 Il totale dei fondi impiegati nello Xingkiang dalle ONG tra il 2015 e il primo semestre del 2016 è, secondo i nostri calcoli, di 4,25 milioni di Usd.

  Se calcoliamo infine che la distribuzione del denaro nella Regione Autonoma implica, tra dazioni volontarie e “tangenti”, un 13,4% alle organizzazioni pubbliche e “coperte” dell’Islam locale, allora la liquidità a disposizione del movimento uighuro è di circa 5,20 milioni.

Ecco: da un lato il WUC e il suo braccio armato, l’ETIM, sono funzioni del jihad globale, nell’area visibile e in quella invisibile, dall’altro si pongono come elementi primari della strategia USA di lenta destabilizzazione e contenimento della Cina.

Giancarlo Elia Valori