Vista con granelli di sabbia

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Le relazioni sono come granelli di sabbia che se uniti con cura possono consentire la creazione di ponti e cattedrali.
Possono diventare terreno per far fiorire piante e coltivare frumento, ma se buttati malamente si perdono nel vento.
La metafora per affermare che, spesso, le persone attraverso i loro comportamenti determinano danni o permettono lo sviluppo della qualità della vita.
Anche la comunicazione come altre manifestazioni dell’azione umana può essere considerata una competenza.

Chi è il competente comunicativo?
Tentando una definizione ragionevole penso che sia chi avendo conoscenze, abilità e atteggiamenti coerenti, (rispetto alla situazione in atto,) ha un comportamento che gli consente, da solo o con altri, di ottenere un risultato utile o almeno di non creare danni.
Mentre è chiaro che l’incompetenza comunicativa fa ottenere l’opposto di quello che si vuole: allontana le persone, crea conflitti, impedisce di vivere meglio insieme.
In pratica il modo di trattare il tempo sociale, lo stile personale, la pratica dell’empatia e l’intelligenza delle emozioni hanno un ruolo chiave nello stabilirsi dei rapporti e del loro mantenimento e sviluppo.
Il principio è che le persone ottengono più risultati quando stanno bene insieme, e stare bene significa riuscire a condividere, a mettere in comune un senso.
Significa entrare in relazioni che consentano lo sviluppo di forme di collaborazione e appartenenza al luogo e al sistema in cui si vive e lavora.
Stare bene è la base per ogni tipo di qualità espressiva, nel lavoro e nella vita in generale.
È vero che ognuno sta bene a modo suo, ma è anche vero che ciò che fa star bene o male è soprattutto legato ai rapporti umani e questi dipendono dalla comunicazione, perché è con questa che noi definiamo la realtà della relazione.
Ognuno di noi ha la propria personalità e questa, ovviamente, influenza il modo di entrare in contatto e sviluppare i rapporti, quindi siamo noi che determiniamo la relazione che c’è.
Spesso la cattiva relazione è la conseguenza di malintesi, fraintendimenti, incomprensioni, non intesi, equivoci, lapsus, ecc.
Tutto questo è in sostanza il risultato di una comunicazione mal o non riuscita, frutto, probabilmente, d’incompetenza.
Nell’incompetenza comunicativa, molto spesso, il vero nemico non è il conflitto ma l’incapacità di comunicarsi l’accordo che determina il conflitto come un’involuzione della relazione.
Vorrei ora proporre una serie di regole della competenza comunicativa.La prima è: capire prima di giudicare. 

Il comunicatore competente prima di tutto cerca di capire “cosa non va” cerca di andare verso il cosa o il come e poi valutare eventualmente il chi, mentre l’incompetente valuta prima la persona e quindi capisce.
Sono quelli che quando ci sono i problemi cercano il colpevole anziché le cause.
Questa incompetenza utilizza il nemico numero uno della comunicazione: il pregiudizio, che vuole dire appunto formulare un giudizio pre, prima.
Pensate ai vari pregiudizi di tipo religioso, sociale, politico, sessuale, e anche addirittura sportivo, oppure legati alla relazione.
Se noi abbiamo un cattivo rapporto con qualcuno, siamo tendenzialmente portati a considerare male le sue azioni.
È difficilissimo essere amici ma è molto facile diventare nemici.
Come dicevo sopra spesso non si diventa, si è in partenza.
Tutte le volte che siamo dentro un pregiudizio siamo nemici di qualcuno e qualcuno lo è per noi.
Pensiamoci ora un istante e facciamo l’elenco dei nemici, molti non li conosciamo ma sappiamo che ci sono.
Conosco molte persone che partono sempre, a fronte di qualcosa che non va, nel cercare il loro colpevole preferito e poi influenzarlo dicendo che è un incapace e lui la causa della situazione erronea in atto.
Il “colpevole” non ha scampo qualsiasi cosa faccia, è condannato perché ogni suo comportamento è sbagliato, sia si difenda o anche che ammetta la colpa.
La seconda è: fare domande
È chiaro quanto sia connessa alla prima e anzi, tutte le regole che vi propongo sono intrecciate e interdipendenti, circolari e si alimentano reciprocamente. Fare domande produce risposte e quindi se c’è ascolto, si determina comprensione, mentre fare affermazioni, in altre parole dare per scontata la conoscenza a priori, (pregiudizio) determina resistenze e quindi incomprensione e spesso conflitto.
Ognuno di noi è dotato di un pensiero e di un linguaggio concepisce e costruisce la realtà, la realizza nella convivenza e nel linguaggio e quindi nella relazione che si determina e nei suoi cambiamenti.
Le domande sono fondamentali per ottenere questo.
La terza è: saper ascoltare
Abbiamo visto questo punto nel pezzo precedente parlando dell’empatia, massima espressione della capacità d’ascolto:
E’ impossibile comunicare quando si è incapaci di ascoltare. Ascoltare, ascoltarsi ascoltarci: nella comunicazione spesso ascoltiamo con l’attesa che l’altro dica ciò che noi stessi stiamo dicendo o pensando, cioè non ascoltiamo l’altro, ma ascoltiamo noi stessi. Quando le relazioni sono negative, anzi lo scopo diventa proprio quello di non ascoltare l’altro, pensate a certi programmi televisivi dove s’incontrano personaggi appartenenti a schieramenti diversi.
Per loro la regola è proprio quella di non ascoltare.
Si parte con questa intenzione precisa, perché l’opposto equivarrebbe a”perdere”, se si ascolta, si dà l’impressione di essere influenzati e questo non deve avvenire tra nemici.
La quarta è: essere etici
Comunicare significa “mettere in comune”, quindi reciprocamente accettare l’influenzamento dell’altro e, come dicevo all’inizio, realizzare qualcosa sul piano concreto o emotivo.
Ad esempio quando insegniamo ai bambini, trasmettiamo loro che esistono cose che hanno senso rispetto a una dinamica sociale e cose che non l’hanno e sono da evitare per riuscire a convivere.
Questa riflessione pone un limite a ciò che si può fare e permette di introdurre il bambino a una dimensione etica della vita e dell’agire.
La persona è responsabile di ciò che accade nella comunità e del ruolo che ha per produrre cambiamenti.
Questo vale nei nostri diversi ruoli sociali: come professionisti, come amici, come partner, come cittadini, come genitori, ecc.
La quinta: riflettere con cura
Mentre nell’empatia c’è il massimo di avvicinamento in questo caso, la capacità è opposta; significa allontanarsi un poco in termini emotivi da ciò che si sta vivendo, per osservarlo e comprenderlo.
Per comprendere meglio il valore pratico di queste capacità occorre comprendere che la condizione costitutiva per lo sviluppo sociale dell’essere umano è l’amore e non l’aggressività e che se prevale, quest’ultima non ci può essere benessere.
Se ci troviamo a vivere dentro una rete di comunicazione caratterizzata dall’aggressività o dal rifiuto, se apprendiamo questa cultura di malessere, tendiamo a conservarla e a riprodurla e, forse, anche a insegnarla senza rendercene conto. La possibilità di uscita consiste nell’atto riflessivo.
La riflessione è possibile solo se si riescono a mettere tra parentesi le certezze cui siamo attaccati (pregiudizio).
Sono cinque passi fondamentali per tentare di essere comunicatori migliori.