La BCE conferma i tassi ai minimi e pensa di lanciare soldi dall’elicottero

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La Bce ha confermato i tassi di riferimento ai minimi storici, nella riunione di giovedì scorso, in scia peraltro all’analoga decisione adottata da Bank of England all’indomani del referendum che di fatto ha avviato la procedura dell’uscita della Gran Bretagna dal club dell’Unione Europea. E sono soltanto i primi due di una quindicina di istituti centrali che, prima delle ferie agostane, riuniranno i rispettivi vertici per decidere le politiche monetarie dei propri paesi.

In particolare, però, come è facile intuire, i mercati guardano alla riunione del Federal Open Market Committee (Fomc) che si terrà il 26 e 27 luglio e, quasi a ridosso, della Bank of Japan (29 luglio). Meeting, tuttavia, da cui – date le premesse – sarà difficile attendersi variazioni di rilievo, ma orientamenti significativi in vista della ripresa autunnale, certamente sì. Anche perché – come scrivono diversi analisti – l’impressione generale è che si debba davvero fare qualcosa di più. Soprattutto al di qua dell’Oceano, a sostegno di un’economia che stenta a decollare, nonostante i tassi zero ai minimi di sempre, con le banche che non fanno prestiti famiglie e aziende; i risparmi che salgono e gli investimenti che continuano ad essere deludenti. (A proposito, la Bce ha lasciato invariato anche il piano di Quantitative Easing).

Insomma, economia e inflazione continuano a essere deludenti nell’area euro. Ma deludenti – ha sottolineato Mario Draghi nella consueta conferenza stampa del dopo meeting – “sono anche le misure intraprese dai governi per alimentare la ripresa dopo la crisi finanziaria più grave dai tempi della Grande Recessione”.

Fare di più, ma che cosa? L’opinione più diffusa è che la Bce debba intervenire con altri stimoli monetari, forse anche tagliando ulteriormente i tassi sui depositi. Del resto, fanno notare molti commentatori, il 65% dei Bund tedeschi non sono acquistabili dal momento che rendono sotto la soglia prefissata da Draghi. Ci potrebbe essere bisogno di misure estreme. A cominciare, magari, da un cambiamento sostanziale al programma di acquisto di titoli, che pure fu già potenziato nella precedente riunione della Bce, per includere anche i bond societari e allungarne la durata fino a marzo 2017.

Un altro intervento forte potrebbe essere il ricorso al cosiddetto “Helicopter Money”, vale a dire un piano che prevede la distribuzione di soldi direttamente a cittadini e imprese senza passare per le banche. Un piano, peraltro, che i funzionari dell’istituto centrale di Francoforte non avrebbero del tutto escluso, anzi, ma che intanto registra l’opposizione netta del governatore della Banca del Giappone, Haruhiko Kuroda. Il quale, infatti, in un’intervista alla Bbc, registrata a metà giugno ma trasmessa giovedì scorso, ha escluso l’ipotesi di usare “denaro dall’elicottero”, sottoscrivendo direttamente il deficit di bilancio, per combattere la deflazione.

Dichiarazioni che, in questo fine settimana, sono state una doccia fredda per i mercati, che appunto su queste voci – va ricordato – avevano innescato il recente rally sui mercati asiatici. E che intanto consigliano una certa prudenza alla Bce. Prudenza, tuttavia, che Mario Draghi sembra abbandonare del tutto quando afferma che sarebbe “molto utile” (da parte degli Stati, evidentemente) aiutare le banche alle prese con i NPL (Non-performing loans, ovvero crediti deteriorati che nei peggiori dei casi diventano sofferenze) confermando peraltro il suo pensiero in materia, a dispetto di quel che pensano e dicono Germania e Paesi nordici. Tanto più che il problema banche è più diffuso di quanto si pensi.

Dunque, c’è poco da essere ottimisti. Anzi. La conferma viene peraltro da tutte le centrali di osservazione economica. Da ultimo, il Centro studi di Confindustria, che nel tagliare le stime sul Pil italiano del secondo trimestre (-0,1% da +0,5% nel primo) scrive: “All’incertezza derivante dalla Brexit si sommano le difficoltà del sistema bancario (non solo in Italia). Fattori che accrescono i rischi al ribasso per l’andamento dell’economia italiana”. E lancia l’allarme per il rischio di una nuova fase di credit crunch. Revisione di stime al ribasso dei principali indicatori economici nostrani che vengono confermati anche dal Fmi.

Il tutto – nemmeno a ricordarlo – mentre sul fondo appare uno scenario Paese che, con abusata metafora, è descritto sempre più spaccato a metà. Anche sul fronte delle tasse (l’altra faccia della ricchezza) come rileva la Cgia di Mestre con la graduatoria sul peso delle tasse che gli italiani versano all’erario e agli enti locali. Così se al Nord le entrate tributarie pro capite ammontano a un valore medio annuo di 10.229 euro, nel Mezzogiorno il peso scende a 5.841 euro. La classifica, ovviamente, è guidata da Lombardia i cui residenti versano all’erario mediamente 11.284 euro e chiusa da campani (5.854), siciliani (5.556) e calabresi (5.183).