Il Sud e quell’incapacità di pensare in grande

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1. 

“La carità non si predica, si pratica”. questo è il messaggio con il quale il Cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, ha accompagnato la sua decisione di donare le abitazioni, di cui la Chiesa è proprietaria, a coloro che ne hanno di bisogno. Un segno inequivoco di inversione rispetto ad un atteggiamento di Santa Madre Chiesa, teso, in molte occasioni, ad accaparrare beni e denari, non sempre destinati ai poveri. Non si fermi, il Cardinale, e dia “istruzioni” anche per gli ingenti patrimoni, che sono di diretta competenza delle Parrocchie. Certo molto aiuta a prendere decisioni di tale portata la lettura del Vangelo che dà Papa Francesco, ma non vi è dubbio che le scelte del Cardinale da quando si è insediato (auguri per il suo decennale) sono state sempre prevalentemente indirizzate al sociale: dalla “Asta del Cardinale” del periodo natalizio, con il cui ricavato sono state finanziate importanti iniziative, soprattutto in campo sanitario, all’istituzione della “Casa di Tonia” per le cosi dette “madri nubili”, alla Farmacia Solidale. Per non dire della iniziativa recente di promuovere per l’autunno un incontro con tutti i Vescovi del Mezzogiorno d’Italia, per individuare momenti concreti, utili per affrontare la tragedia della disoccupazione giovanile e per impedire che in quel campo continui ad alimentarsi la criminalità organizzata. Per contrastare questa altra piaga resta, fra le altre, davvero memorabile, la marcia del 31 di maggio, al termine della quale il Cardinale pronunciò parole durissime contro la camorra. Naturalmente, molti, soprattutto pensando al comportamento antico della Chiesa, possono pensare a questa come ad una iniziativa “impropria” e quasi “fuori dal seminato”.  Invece questo ruolo, spesso addirittura di supplenza rispetto alla inerzia di troppe Istituzioni, a tutti i livelli, appare quanto mai coerente con il messaggio di Cristo, di cui al suo “grido”, sempre attuale, a fare il bene comune ed a rispondere ai bisogni crescenti di tanti esseri umani. A  cominciare dalle centinaia di migliaia di migranti, che sfidano la morte, alla ricerca di un avvenire migliore. Spesso incontrando muri e barriere. Purtroppo. 

2.

“Spesso il termine utopia è il modo migliore per liquidare qualcosa che non si ha voglia o coraggio o capacità di fare”.  Matteo Renzi cita Adriano Olivetti per aprire il suo discorso al TIGEM, il Centro di Ricerca diretto da Ballabio: un’ eccellenza di sicuro livello mondiale. Cita il Fondatore del Movimento Comunità proprio nella sede che Adriano Olivetti volle sorgesse a Pozzuoli per allargare gli investimenti fino al Sud: per creare qui sviluppo e occupazione, a prescindere dagli utili di Azienda. Ne affidò la progettazione ad un grande urbanista, Luigi Cosenza,  e ne fece una fabbrica modello, dimostrando che anche al Sud si poteva fare Industria di alto livello, utilizzando, e formando, professionalità e maestranze qui, nel Mezzogiorno d’Italia. Avrebbe continuato quell’illuminato imprenditore, se non fosse prematuramente scomparso: aveva acquistato suoli anche nel casertano, se ricordo bene, e quindi in Calabria. Morì troppo presto, ma visse il tempo giusto per lasciare di sé un’impronta indelebile in Italia e nel Mondo. Fece letteralmente “impressione” la sua decisione di acquistare, investendo molto, una fabbrica di macchine da scrivere americana, la Underwood, alla fine degli anni ’50: un Italiano, un figlio dell’Italia sconfitta dalla sciagurata guerra fascista, rialzava la testa e portava soldi nell’America, opulenta e vittoriosa. Una bella lezione di orgoglio e di coraggio. Adriano Olivetti era anche altro, molto altro: il trattamento riservato ai dipendenti era quanto di più avanzato e moderno sul piano del Welfare ed i lavoratori rispondevano con un forte attaccamento al Marchio ed una grande resa sul lavoro. Ho avuto il privilegio di vivere, nel 1963, da studente della Università Cattolica, uno stage in quella  prestigiosa industria, negli stabilimenti di Ivrea, che Olivetti aveva voluto che fossero progettati da grandi architetti, come Le Corbusier, per assicurare, oltre che sul piano funzionale, anche su quello estetico, il migliore ambiente per lavoratori, maestranze, tecnici, ricercatori. Una esperienza per me indimenticabile: era il tempo di Paolo Volponi ed Ottiero Ottieri alla Olivetti. Credo che Matteo Renzi abbia citato Adriano Olivetti per dare una scossa agli imprenditori, che spesso si trincerano dietro le scelte del Governo per non fare appieno il proprio dovere: investire, rischiare, creare sviluppo ed occupazione, utilizzando al meglio le risorse italiane ed europee, che ci sono ed anche copiose.  A Pozzuoli, nella fabbrica che volle Adriano Olivetti, di fronte al mare, vicino al Teatro di Antonino Pio, dove Giorgio Albertazzi, nel settembre del 2015, recitò , per l’ultima volta, Memorie di Adriano. L’Imperatore che proprio in quei luoghi era morto. Suggestioni, sogni, luoghi strepitosi dove le utopie si possono trasformare in realtà concreta. Sol che ci fosse la capacità di pensare in grande. Nel Mezzogiorno d’Italia.

3.

L’iniziativa di Dolce e Gabbana di celebrare a Napoli il trentesimo anniversario della loro prestigiosa Maison mi pare del tutto positiva per la città di Napoli. A prescindere dall’opportuno, ancorché tardivo ed ovvio, conferimento della cittadinanza onoraria a Sophia Loren. Fare del Centro Storico di Napoli il Set per le loro sfilate è un’idea bella, soprattutto se confrontata con le fredde passerelle tradizionali. A prescindere da facili sociologismi su di una presunta rappresentazione oleografica della Città, mi è parsa una sana operazione del recupero della identità di quei luoghi fascinosi, “visti” nella loro accezione più veritiera. Regge il confronto solo lo splendido film Passion (Passione) di John Turturro. Se aggiungiamo che, “miracolosamente”, in quei giorni la criminalità organizzata e quella comune sono state in… silenzio, abbiamo un risultato perfetto. Magari, a completare la operazione di recupero identitario, sarebbe stata opportuna anche la rappresentazione di un Opera Buffa del nostro ‘700, nella “casa” sua propria, il teatro Mercadante. Ma è un piccolo appunto, dettato solo dalla mia passione per la Musica della nostra grande tradizione, che non incide su di una valutazione complessivamente positiva dell’iniziativa, i cui positivi effetti per la Città saranno duraturi.