Rosi trionfa a Ischia con Fuocammare: La morte ci viene addosso, basta fingere

Il regista Gianfranco Rosi, già “Orso D’Oro” all’ultima edizione del Festival di Berlino, è stato insignito alla XIV edizione dell’Ischia Global Fest appena conclusa, con l'”Ischia Humanitarian Award” per il film “Fuocammare”

Maestro un nuovo meritato riconoscimento per” Fuocammare”
Sì provo una soddisfazione e sono grato a Vicedomini per avermi voluto premiare qui ad Ischia tra tante star internazionali.
 
Da dove deriva il titolo del film?
Trae origine da una canzone popolare di Lampedusa, scritta a proposito di una nave che trovandosi in prossimità dell’isola durante la seconda guerra mondiale, venne bombardata e  si incendiò, illuminando a giorno tutta la zona.
 
In “Fuocammare” descrive il triste fenomeno della migrazione.
In questo film la morte mi è venuta addosso, l’ho filmata, l’ho raccontata. Ho raccontato l’isola e l’immigrazione attraverso lo sguardo di un bambino, creando una specie di romanzo di formazione; la difficoltà di crescita di questo bambino in realtà, diviene un po’ la nostra difficoltà di poter dare una risposta a qualcosa che noi non conosciamo. Nell’opera si sviluppano due storie; quella dei migranti e quella del bambino che non si incontrano mai ma che si toccano appena, perché da quando è stato fondato Mare Nostrum, i barconi vengono intercettati in mare dalla Marina Militare e dalla Guardia Costiera, e da lì i fuggitivi vengono portati a terra nei campi di accoglienza in modo istituzionale. Viene quindi a mancare l’incontro personale, emotivo e diretto tra i migranti e gli isolani.
 

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“Fuocammare” vuol essere anche un monito sociale per le coscienze dei popoli?
Certamente sì. L’Europa, sotto il profilo politico intesa come Unione tra più Paesi, come comunione tra i popoli, è di certo fallita; basti pensare all’atteggiamento di chiusura al fenomeno della immigrazione dell’Austria o alla Brexit. Tutto questo è inaccettabile; il mio è un grido d’aiuto verso le persone che scappando dalle tragedie dei loro Paesi, incontrano la morte a mare.
 
Quali strategie suggerirebbe per arginare questo triste fenomeno?
Bisognerebbe costruire un ponte umanitario per consentire alle popolazioni martoriate della Libia e della Tunisia di andare incontro ad una vita migliore.
 
L’Occidente si dispera di fronte all’ultima strage di innocenti di Nizza rivendicata dall’ISIS.
E’qui che non dobbiamo soccombere, non possiamo essere condizionati, privati della nostra libertà di fronte a follie omicida del genere; la pericolosità sta nel confondere il terrorismo con la migrazione, una trappola in cui nessuno deve cadere.
 
Il più grande sostenitore dei migranti ha un nome: Papa Francesco.
Francesco ha visto “Fuocammare”, ci ha convocato in Vaticano per conoscerci ed ha parlato a lungo e con tanta commozione degli sguardi, degli incontri ritratti nel film, sottolineando l’esigenza di dover considerare i migranti come degli esseri umani e non solamente dei numeri.
 
Quanto ha giocato il fatto di essere “cittadino del mondo” nella sua attività?
Tantissimo; è fondamentale dare ogni volta vita alla propria identità viaggiando. Io mi sento a casa dove lavoro, in ogni luogo in cui cerco un progetto. Amo la transculturalità e adoro New York dove abitualmente vivo perché ne costituisce la capitale per eccellenza. In questo momento storico si utilizza spesso il termine “Integrazione” che io abolirei totalmente; auspico invece che le persone  debbano incontrarsi in un luogo comune dove ognuno deve cedere qualcosa all’altro.
 
Il suo primo film è stato ambientato in India?
Sì, in realtà è venuto fuori dal mio incontro con l’India e con la morte; ero particolarmente affascinato da questo luogo attualmente denominato Varanasi, dove i vivi ed i morti frequentano gli stessi luoghi, dove la gente va a morire ed a pregare sulle sponde di un fiume, il Gange, considerato il più inquinato del mondo. La gente del posto beve quest’acqua e c’è tutto un rito della morte molto affascinante che io scoprii quando ero molto giovane; è qui che avviene il passaggio obbligato per il trapasso all’aldilà secondo la religione Indù ovvero la cremazione dei defunti. Il film è molto semplice; ho cercato di costruire una giornata ipotetica sul fiume basandomi sulle sensazioni percepite accanto ad un barcaiolo di nome Gopal. Dopo due mesi che giravo su quelle sponde con lacinepresa, il giorno prima di partire, desiderai fare anche io il turista, lasciai la macchina da presa in hotel e andando al fiume sacro mi sono immerso anche io . Pertanto “Boatman”non è altro che una ricostruzione emotiva di sensazioni forti da me personalmente vissute.
 
Leone d’Oro a Venezia per Sacro Gra; come nasce questo progetto?
Quello è stato un film su commissione; a tal fine, ho trascorso quasi due anni a raccontare la storia di tre milioni di persone che abitano in questa specie di anello di Saturno che gira intorno a Roma ed anche in quella occasione ci sono stati degli incontri, individuando 8 personaggi  che diventano degli archetipi del vissuto quotidiano di tutti gli abitanti di quel luogo.
 
Il tema centrale di ogni sua opera è dunque il rapporto umano?
Esattamente, ogni mio documentario è basato sugli incontri con gli altri individui, senza dei quali non esisterebbe storia. Poteri accostare la mia maniera di fare film alla capacità artistica di un fotografo, che deve ritrarre, percepire la vera identità, l’anima del soggetto al di là dell’immagine.
 
Rosi, si definisce un regista intellettuale?
Direi proprio di no; l’intellettuale è colui che si avvicina alla realtà delle cose e le fa proprie con raziocinio, io al contrario sono una persona istintiva, per fare un film ho bisogno di cogliere uno stato d’animo molto profondo dentro di me; successivamente comincia il processo di destrutturazione , di trasformazione delle cose. Al contrario del regista intellettuale, io utilizzo la testa semplicemente come strumento di mediazione che rompe il confine tra il documentario e la finzione, tra questi schemi precostituiti molto rigidi ; mi piace scardinare ogni volta l’elemento narrativo, trovarmi a digiuno nell’impatto con un luogo che può essere l’India, il Messico, il deserto americano, il Raccordo Anulare di Roma o per ultimo, l’isola di Lampedusa. Da quel luogo prescelto, devo individuare alcuni personaggi, protagonisti del mio film, che devono interpretare con le parole e la gestualità quelle che sono le mie emozioni. La mia sensazione di un luogo si deve trasferire nell’Io di alcuni personaggi che incontro nel tempo e poi, attraverso loro, costruisco una storia che è sempre molto immediata, basata sul rapporto quotidiano su di un elemento di fiducia; ed è da lì, che piano piano si forma la struttura narrativa che non è mai pensata a priori . Ecco perché l’aggettivo “intellettuale” mi terrorizza; sono contrario ad i film confezionati a tavolino, per me fare un film vuol dire immergersi in una danza di jazz dove tutto diviene improvvisazione a partire dalla realtà.