Quando un uomo si guarda allo specchio a volte vede ciò che vorrebbe essere piuttosto di ciò che è. Ma se imparassimo ad amare quelle nostre aree un po’ malandate, le nostre zone d’ombra, la nostra interior junk, forse potremmo scoprire che è quel ciarpame esistenziale, quello che di solito nascondiamo sotto il tappeto, a renderci peculiari. Sono questi gli orizzonti che esplora Paolo Valerio, in una mostra personale dal titolo “Gender roles, gender cages and surroundings” che sarà inaugurata martedì 12 luglio 2016 e visitabile fino a mercoledì 10 agosto presso il Salone delle Carceri di Castel dell’Ovo, a Napoli.
L’esposizione, a cura di Raffaele Loffredo e in collaborazione con la Fondazione Genere Identità Cultura e con la Fondazione Arti Napoli, conta una serie di installazioni e sculture, nonché una perfomance live prevista per l’opening, che ben blandiscono tutta una serie di tematiche care all’artista, dall’omofobia ai femminielli, a cui Valerio ha già dedicato di recente il volume “Genere: femminielli”. Con lavori quali “Dark side of the mind”, “About Tarantina”, “Gender cages” l’artista tocca argomenti nebulosi quanto urgenti, mentre con l’opera “Never enought” accarezza il tema del non sentirsi mai all’altezza. Il tutto con una leggerezza che va sabotando un approccio artistico drammatico quanto convenzionale. “La mia attività mi permette di contattare pensieri impensabili dedicando tempo a me stesso ed al gioco, una parte di me bambino, un atto puerile che lascia una traccia e mi induce a pensare e non soltanto fare (non il fare per non pensare)” scrive Valerio, riflettendo sull’importanza del gioco infantile inteso in termini di visione fresca del mondo, di modus vivendi più che “agendi”.
Le sue sono sculture che si appropriano dell’oggetto di scarto, notato e raccolto lungo il litorale flegreo di Lucrino: reti, plastiche, cime che l’artista rielabora materialmente e concettualmente. “Se ci si occupa dell’oggetto, come forma positiva, lo spazio che circonda quest’oggetto si riduce a quasi niente. Se ci si occupa invece principalmente dello spazio che circonda l’oggetto, l’oggetto si riduce a quasi niente. Che cosa ha maggior interesse per noi, quello che è fuori o quello che è dentro la forma?” si domandava, a proposito della scultura, Pablo Picasso in un quesito che quasi sembra un paradosso. Paolo Valerio sembra trovare una scappatoia alla domanda, proprio attingendo all’ambito del ludus e instaurando con la natura un rapporto di osservazione meditativa quanto di raccolta dell’objet trouvé, già trasformato e modellato degli elementi naturali. Nella sua poetica si introduce così non solo un discorso che poco toglie allo spazio così come poco toglie alla forma, ma anche la possibilità di accesso ad una dimensione casuale. E’ davanti al caso che l’uomo perde le sue battaglie logistiche per arrendersi e consegnare le armi ai buoni frutti del destino, che sia anche solo il destino di una corda restituita dal mare.