Italexit? Per il referendum serve cambiare la Costituzione

444

Servirebbe una legge costituzionale, con doppia lettura del Parlamento ed eventuale referendum confermativo, per poter indire un referendum come quello inglese per l’uscita dell’Italia dall’Ue e dall’Euro. Esattamente la procedura seguita nel 1989 quando fu svolto un referendum sulla nascita dell’Unione europea, nel quale il fronte europeista si impose con l’88,03%. La nostra Costituzione prevede, all’articolo 75, il solo referendum per l’abrogazione totale o parziale di una legge (anche se nella riforma Renzi-Boschi viene introdotto il referendum propositivo).
Possono richiederlo cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali, ma esso non può riguardare (comma 2 dell’articolo 75) “le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. Quindi i vari Trattati europei che si sono succeduti, l’ultimo quello di Lisbona, non possono essere sottoposti a referendum abrogativo. Occorrerebbe dunque una legge Costituzionale che permetta l’indizione del referendum, e per questo tipo di leggi l’articolo 138 della Carta prevede un percorso rafforzato.
Tali leggi “sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione”. Quello che è avvenuto per la recente riforma Renzi-Boschi, che ha richiesto 6 passaggi complessivi tra Senato e Camera, per due anni e cinque giorni complessivi. Se la legge non è approvata nella deliberazione finale delle due Camere dai due terzi dei voti, essa è sottoposta a referendum confermativo, come avverrà per la riforma Renzi-Boschi a ottobre. Va precisato che nell’attuale Parlamento le uniche tre forze favorevoli ad un referendum sull’Ue e l’Euro sono solo la Lega, Fdi e M5s, che non hanno i numeri. Il Carroccio ha solo 12 senatori e 18 deputati; M5s ha 35 senatori e 91 deputati, mentre Fdi solo 10 deputati. Quindi in questa legislatura non ci sono le condizioni politiche. Un primo assaggio c’è stato martedì scorso, quando alla Camera si è votata la riforma della legge di Bilancio dello Stato, che ha confermato l’obiettivo del pareggio di bilancio: il fronte antieuropeista (Lega, M5s e Fdi) ha votato contro, mettendo insieme solo 96 voti, compresi quelli di singoli deputati di altri gruppi. Nel 1989, esattamente il 3 aprile, fu approvata una legge costituzionale per attribuire al Parlamento europeo, per il quale si sarebbe votato a giugno, i poteri costituenti per far nascere l’Ue.
Il quesito fu: “Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione delle Comunita’ europee in una effettiva Unione, dotata di un Governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione europea da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunita’?”. Il 18 giugno successivo si recarono alle urne 37.560.404 di italiani, cioè l’80,68% degli aventi diritto. I sì furono 29.158.656 pari all’ 88,03%, mentre i No 3.964.086 cioè l’11,97% dei votanti. Infine una curiosità. Il Fiscal Compact, in base al quale abbiamo introdotto il pareggio di bilancio in Costituzione all’articolo 81, non fa parte dei Trattati europei, ma è un trattato multilaterale; quindi andrebbe denunciato da una apposita legge del Parlamento mentre il pareggio di bilancio andrebbe tolto dall’articolo 81 con una ulteriore riforma costituzionale.