La questione nordcoreana oggi

Nelle more della trasformazione periodica del sistema politico nordamericano, si riaffaccia la questione coreana.

Si tratta di una problematica complessa che è determinante per l’equilibrio strategico dell’Asia Meridionale.

Ed è proprio nel quadrante coreano che si determina l’equilibrio USA (e europeo, peraltro) con la Cina e la Federazione Russa.

Sin dal febbraio scorso, Mosca ha sempre gestito ottime relazioni con il regime nordcoreano, ma proprio in quella fase gli USA hanno sostenuto, presso il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, delle sanzioni contro Pyongyang che erano dirette soprattutto a danneggiare gli interessi economici e strategici di Mosca in quell’area.

La Russia ha votato le sanzioni, ma non crediamo che possa andare oltre quello livello di warning nei confronti della Corea del Nord.

La Russia non accetta più di buon grado l’autonomia nucleare e militare della Corea del Nord, che viene ormai vista come un free rider nel contesto asiatico.

Comunque la Federazione Russa vuole il mantenimento del regime di Pyongyang, che evita la caduta di tutta l’importante penisola coreana sotto l’influenza USA; e non desidera certo una pressione militare contro Pyongyang che potrebbe mettere in pericolo le sue strutture di sicurezza in Asia Centrale e nel Pacifico.

Ma Mosca continuerà sicuramente a mantenere l’alto volume degli scambi con Pyongyang, un miliardo di Usd l’anno, scambi peraltro basati sul rublo.

E peraltro probabile che il CS dell’ONU blocchi il progetto di una “Asian trading house” tra Mosca e la Corea del Nord, aperta agli altri Paesi asiatici e visto da Mosca come asse della penetrazione russa nell’Asia meridionale.

La Cina non ha più interesse a mantenere un sistema nordcoreano che preme solo su Seoul e gli USA, ma ha il progetto di utilizzare ancora Pyongyang come tassello meridionale della sua Belt and Road Initiative verso Sud e verso Occidente.

Per questo, Pechino ha bisogno di “punire” Kim Jong Un da un lato (Xi Jinping non si è ancora recato in visita a Pyongyang) ma anche di utilizzarlo per evitare l’americanizzazione dello snodo terrestre-marittimo del fiume Yalu e del Mar Giallo, essenziali per l’autonomia militare della Cina Popolare.

In questo contesto, la Corea del Nord manda due diverse serie di messaggi ai Paesi occidentali e alla Corea meridionale: la volontà di una unificazione lenta ma pacifica e il rifiuto dello smantellamento del suo regime secondo le tecniche delle “rivoluzioni arancioni” o addirittura del golpe interno e perfino della guerra convenzionale.

Infine, il regime di Pyongyang segnala che non abbandonerà il suo arsenale nucleare-missilistico, che pure potrebbe essere gestito da un accordo da stabilire ex novo.

I segnali ci sono, nella prosa di Pyongyang, basta saperli leggere con sapienza strategica, senza ritenere il regime della Corea del Nord “irrazionale” o “irragionevole” o, peggio, diretto da un uomo imprevedibile.

Kim Jong Un non è irrazionale, ha un progetto chiaro e ragionevole, ma vuole discuterlo con partners affidabili e che non vogliano, in prima battuta, la distruzione del suo regime e del suo Paese.

La Corea del Nord vuole, in sostanza, la partecipazione degli USA ad un tavolo di pace che sanzioni definitivamente il suo regime e imposti una collaborazione stretta e stabile con la Corea del Sud.

E’ da interpretare in questo senso la reazione di Pyongyang al blocco, da parte del governo del Sud, del “pacchetto della riunificazione” in Parlamento e all’evento del 15 Giugno, comune a tutta la nazione coreana.

La festa, da tenersi a Kaesong, nel Nord, non si è effettuata per la scelta unilaterale del Governo di Seoul.

La Corea del Sud vuole, quindi, giocare un proprio ruolo autonomo nel quadrante asiatico, utilizzare appieno i suoi nuovi e ottimali rapporti con la Cina e la Federazione Russa, attendere probabilmente una implosione del regime di Pyongyang per fare quello che la Germania Occidentale fece con la DDR, inglobandola quasi a costo zero nel suo sistema industriale, evitando peraltro la concorrenza con la parificazione del Marco Ovest con quello Est.

Park Geun Hye, la presidentessa della Corea del Sud, ha accettato con piacere le sanzioni imposte dagli USA a Pyongyang nel Febbraio scorso ed ha soprattutto sottolineato come la crisi economica tenderà a far implodere la Corea settentrionale qualora essa non abbandoni il suo programma nucleare.

Ma è proprio questo sistema nucleare militare-civile che permetterà a Pyongyang di trattare, magari direttamente con gli USA, un lento ma stabile ammorbidimento del regime e il rientro della Corea Democratica nel mercato-mondo.

Non crediamo che Mosca e Pechino intendano sostenere le mire di Washington per un collasso controllato di Pyongyang, che destabilizzerebbe la provincia cinese di Liaoning, tutto il delta del fiume Yalu, anche le 78 isole sul fiume controllate dai cinesi.

Mosca non ha alcun interesse a manomettere il regime nordcoreano, ma non intende nemmeno sostenere la pressione USA e sudcoreana per intimorire definitivamente la Corea del Nord.

Pechino ha accettato la Risoluzione del CS ONU 2270 che sanziona Pyongyang, ha messo nel conto e a futura memoria l’esecuzione, da parte di Kim Jong Un, di suo zio Jang-Song Thaek, canale privilegiato per le relazioni con i cinesi, infine non ha nessun desiderio di vedere aumentato il potenziale tecnologico nucleare della Corea del Nord, un sistema che potrebbe minacciare, in futuro, anche la stessa Cina.

Ma, di converso, non vuole rimanere senza carte da giocare nella discussione sul futuro della penisola coreana, quando gli USA hanno già Seoul e la Cina potrebbe rimanere senza un referente sul campo.

Corrono anche venti di guerra, oggi, sulla penisola coreana.

Pyongyang ha segnalato, il 17 di questo Giugno, la preparazione di una esercitazione militare a lungo raggio, nella base americana di Andersen a Guam, composta da una formazione di bombardieri strategici B-52H forniti di armi nucleari.

La presenza di forze americane in Corea del Sud vale oggi 28.500 tra soldati e ufficiali, mentre le FF.AA. sudcoreane dispongono di un personale di 3.600.000 unità con 700.000 militari attivi.

Secondo le fonti più aggiornate, la massa armata di Pyongyang è di circa 1,2 milioni.

Tutti gli analisti concordano sul fatto che una guerra convenzionale tra Sud e Nord finirebbe rapidamente e facilmente con la sconfitta di Pyongyang, dato che il Nord non ha quasi aviazione e possiede dei sistemi d’arma meno evoluti di quelli del Sud, magari sostenuto direttamente dalle Forze USA.

Ma è appunto per questo motivo che la Corea del Nord ha sviluppato il suo sistema nucleare, per rendere difficile o impossibile l’attacco definitivo al suo regime.

Inoltre, il 13 Giugno scorso, nel porto sudcoreano di Pusan è stato avvistato il sottomarino nucleare USA “Mississippi”.

Anche questa presenza è stata letta, non del tutto irragionevolmente, come la minaccia diretta di una azione di guerra contro il Nord.

Le reazioni di controattacco nucleare nordcoreano sul sistema Usa sono legate al controllo missilistico sopra la Base Andersen di Guam e sulle altre basi nordamericane nel Pacifico e ad una serie di contro-azioni precise: soprattutto l’uso del missile KN-08, che può raggiungere il territorio degli USA, tutte le basi delle FF.AA. sudcoreane, le basi Usa nel Pacifico e il territorio del Giappone.

Pyongyang non vuole, in sostanza, che la trattativa sia basata sulla minaccia di una guerra convenzionale o di un contrattacco nucleare, da parte di Washington, ad una azione limitata della Corea del Nord verso quella del Sud.

Non vi è, in questo caso, una “proporzionalità della forza” o “della reazione”, mentre l’obiettivo strategico della Corea del Nord è quello di integrarsi stabilmente nel mercato-mondo senza perdere la propria autonomia politica.

E’ possibile? Crediamo di sì. L’obiettivo di Kim Yong Un è quello di portare gli USA al tavolo delle trattative finali.

Washington potrebbe qui cercare il sostegno di Mosca, che non vuole una liquidazione della Corea del Nord, ma un suo ridimensionamento strategico, e della Cina, che non ha interesse a una Corea settentrionale ipernuclearizzata (ma le bombe di Pyongyang hanno spesso “mani cinesi”) né tantomeno ad un’area in crollo economico verticale ai suoi confini.

Quindi, è possibile una equazione strategica nuova, che non attenda la crisi di Pyongyang come una buona occasione ma gestisca il lento atterraggio della Corea del Nord nel nuovo sistema degli equilibri asiatici.

Giancarlo Elia Valori