Estetica (e poetica) del manoscritto. Leone incanta Montblanc

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Diventa sempre più evidente e significativo il legame tra l’arte di Giuseppe Leone e la scrittura, intesa come traccia grafica che, quasi come impronta digitale, sa raccontare storie precise e, al contempo, essere contenitore di un immaginario vasto e condiviso. Non stupisce allora che nell’ambito di Napoli Moda Design 2016, l’operato di Leone, in esposizione nella boutique Montblanc di Via Filangieri, abbia riscosso un tale successo entusiasmando lo stesso Christian M. Rauch, amministratore delegato in Italia del prestigioso brand. 

“Il Notaro”una delle opere in mostra nelle vetrine Montblanc, vive del resto del valore intrinseco dello scrivere ed è in questo che la penna si fa meridiana della vita intellettuale dell’uomo. In occasione del Montblanc de la Culture Arts Patronage Award, il marchio realizza annualmente una stilografica in edizione limitata dedicata ai grandi mecenati del passato. La tiratura è limitata a 4810 esemplari, il cui numero in una sorta di gioco ad ispirazione cabalistica fa riferimento all’altezza in metri del Monte Bianco, e a 888 per una seconda più preziosa edizione. Quest’anno la scelta è caduta su Peggy Guggenheim, eccentrica collezionista che influenzò con il suo amore per la pittura e con la sua idea di “comprare un quadro al giorno“, il mondo dell’arte. Alle prime due edizioni se ne aggiunge una terza in 81 esemplari, età della Guggenheim all’epoca in cui si spense, nel 1979. 

 

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Leone ha saputo renderle omaggio con una serie di opere che inglobano nel contesto d’arte la scrittura, il documento e quella rete di stratificazioni culturali che dondolano continuamente tra passato e presente, tra il concetto e l’elemento popolare. Elemento chiave di tale processo artistico calibrato da Leone è costituito dal manoscritto, con quella capacità di racchiudere in sé un accento fortemente poetico, anche quando si tratta del più convenzionale dei documenti. Sgranando le lettere ad una ad una se ne intendono, infatti, i significati precisi e vien fuori quell’intento di stipulare un contratto saldo, un inscindibile patto. Quelli utilizzati da Leone nelle sue opere, come già accadeva con le cartoline del Ciclo di Esther  nei tardi anni Settanta, sono documenti antichi, scritti a mano, dove anche la (calli)grafia, il suo virare in una direzione o nell’altra, il suo adagiarsi impeccabile sul foglio, assume un innegabile senso estetico, oltre che un potente complesso simbolico. “Lady B”altra opera legata all’esposizione Montblanc,  si accende nell’emergere di una figura che affiora leggera tra le lettere e si coagula attorno al tratto di poche pennellate svelte, veloci, di un rosso puro. Leone, del resto, si  è sempre dimostrato abile nell’interpretazione e nella proposizione del simbolo, creandone di nuovi o addizionandone molteplici ed è in lavori come “Non Fumo Più – Omaggio a Casa Blanca”che il documento antico va relazionandosi con un altro elemento polisemantico: l’ex voto

A ben rifletterci anche l’ex voto altro non è che un contratto; certo non un contratto tra uomini, ma un atto che sancisce un’alleanza provata con il divino. Giuseppe Leone lo reinterpreta in una chiave ironica, capace di alleggerire la pressione mistica e di introdurre temi e riflessioni vicinissimi alla cronaca o alla cultura pop contemporanea.

 

Notaro in vetrina

 

Se in “Non Fumo Più”, dove spicca l’effige di due polmoni accostati ad una sigaretta spenta, la mente corre nostalgica ad Humphrey Bogart fumatore incallito, con “Fortuna – L’Orco non c’è più”, l’artista indaga nei fatti di cronaca, quella nerissima e ancora non metabolizzata e che, nella compiutezza dell’opera d’arte, sembra trovare non conforto, né risposte, ma una redenzione emozionale. Il tutto, come avviene con “Il Contratto o Manum Scriptum”, è formalizzato in una costruzione salda, dove nulla è lasciato al caso, dalla resa cromatica all’utilizzo di cornici, che lungi dall’essere semplicemente bordi di confinamento,  si rendono funzionali all’opera. 

Ma forse l’aspetto più interessante è costituito da quella scrittura afona, ormai firma di Giuseppe Leone, che nel suo comparire e non dir nulla, nel suo esserci ma non palesarsi, conferisce al quadro una dimensione altra, un orizzonte aperto. L’arte con Leone non si pone il limite semantico, ma si libera nei giochi della semiotica, nell’estetica del segno, nella bellezza di un’interpretazione da mettere sempre in discussione.