Intervista a Roberto Sparano sul private equity

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Nell’articolo della scorsa settimana si è discusso delle operazioni di private equity, istituto atipico quanto mai complesso e poco utilizzato in Italia. Abbiamo quindi chiesto all’avv. Roberto Sparano, di Quorum Studio Legale e Tributario Associato, partner del dipartimento Corporate ed M&A dello studio, ulteriori informazioni per comprendere più a fondo la portata dello stesso. Di seguito i tratti più salienti della “chiacchierata”.

“Il private equity, ovvero l’acquisto di partecipazioni di società non quotate e compartecipazione del capitale di rischio è stato uno dei modelli che hanno consentito lo sviluppo dell’economia degli USA fin dalla metà del 1800, ma troviamo delle forme similari già nel XIV secolo nei paesi mussulmani anche perché il Corano vieta espressamente l’uso degli interessi (ribā) , quindi, per le banche l’unica forma di finanziamento implicava la partecipazione al rischio dell’imprenditore. Il private equity che conosciamo oggi, invece, fonda le sue basi nel secondo dopoguerra negli US, quando American Research and Development Corporation fondata dal poliedrico Professore di Harvard di origine francese Georges Doriot, ha iniziato ad investire in imprese fondate dagli ex combattenti”. Così parte la discussione con l’avvocato Sparano

“Il PE in realtà”, prosegue Roberto Sparano “è un meccanismo molto semplice: un investitore – generalmente un fondo d’investimento, una investment company o un family office – investe in un’impresa – la cosiddetta “target” – sottoscrivendo un aumento di capitale, fondamentale è da capire, che l’investimento è legato all’impresa, alla sua crescita ed ad un programma di sviluppo, e non a remunerare, almeno nell’immediato, l’imprenditore”.

Alla domanda del perché queste operazioni siano ancora poco utilizzate in Italia, risponde con una battuta “la società perfetta in Italia ha più di un socio e meno di due” e continua “sarebbe facile gettare la croce sul modello imprenditoriale italiano, ma le ragioni sono sicuramente più complesse”. In estrema sintesi secondo l’Avv. Sparano vi è una reciproca diffidenza fra investitori istituzionale e imprenditori, da un lato gli investitori istituzionali lamentano una certa commistione fra impresa e sfera privata dell’imprenditore che si concreta, spesso, in un disincentivo ad investire, dall’altro molti imprenditori faticano a cedere o condividere il controllo della propria “creatura” con dei soggetti che hanno un profilo, il più delle volte, prettamente finanziario.

Un elemento importante, che indice anche sulla diffusione del modello di business – secondo Sparano – è rappresentato dalla durata dell’investimento che vista la struttura degli investitori è spesso di breve periodo – in genere fra i 3 ed i 5 anni. Termine entro il quale l’impresa deve essere valorizzata, sviluppata e, in alcuni casi, professionalizzata, ma soprattutto monetizzata – la cosiddetta exit. “Sebbene possa sembrare “brutto” dirlo è la monetizzazione dell’investimento che rappresenta il momento in cui si concretizza il profitto per l’investitore, l’exit può avvenire in diversi modi con la quotazione in borsa, la cessione dell’impresa o di parte di essa ad altri soggetti industriali, l’ingresso di nuovi investitori, ma ha una sola caratteristica, l’investitore spera di ottenere molto più di quanto abbia investito”.

La diversa “vision” fra imprenditore e investitore, il clima generale che parifica le banche e gli altri players del mercato del credito ai Galli che guidati da Brenno saccheggiarono Roma, non sono sicuramente i migliori presupposti, ciononostante il PE è cresciuto secondo i dati dell’associazione di categoria AIFI di circa il 31% nel solo 2015, attestandosi a circa 4.600 milioni di Euro di investimenti, per cui negli ultimi 15 anni sono stati investiti circa 52 miliari di Euro.

Il 2015 è stato un anno record per le operazioni in Italia che hanno visto coinvolti gli operatori di private equity, ben 122, è un numero sicuramente molto basso rispetto a quanto registrato in Germania, Inghilterra e Francia, ma significativo. Quello che emerge dallo studio annuale dell’AIFI è un mercato in espansione che sta raggiungendo un considerevole livello di notorietà, in parte per la necessità di trovare forme di finanziamento che siano alternative al sistema bancario tradizionale, ma anche per l’affidabilità e la professionalità degli operatori.

Roberto Sparano conclude sottolineando che “I numeri che ha riportato AIFI sono molto positivi, e sicuramente i trend che vedo di quest’anno saranno ulteriormente interessanti, purtroppo bisogna anche dire che questi dati riguardano in via prioritaria il Nord, il nostro meridione è ancora marginalmente interessato/interessante da e per il private equity, ma questo è un compito in parte di noi consulenti in parte delle nuove generazioni di avvocati e commercialisti che si stanno formando che non devono cristallizzarsi su posizioni e nozioni più che consolidate, ma – come tutti i giovani – osare ed innovare”.

Nel prossimo articolo di martedì approfondiremo le Share deal e le Asset Deal.