Danni da emotrasfusione – Il caso D.A. e altri contro Italia.

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Con una recente sentenza della I sezione, resa in data 14.01.2016 nel caso D.A. e altri contro Italia, la Corte di Strasburgo si è pronunciata ancora una volta su una controversia giuridica di non poco rilievo, sotto il profilo giuridico e prima ancora sociale, avente ad oggetto il risarcimento di numerosi cittadini italiani, i quali avevano contratto gravi e perduranti patologie a causa di trasfusioni di sangue o somministrazioni di emoderivati infetti, effettuate nel corso dell’ultimo trentennio negli istituti sanitari pubblici.

All’origine del contenzioso vi erano diciannove ricorsi collettivi – 889 il numero totale di soggetti coinvolti – proposti contro la Repubblica Italiana da persone affette da virus quali HIV e HCV, ovvero dagli eredi di queste; i ricorrenti o i loro de cuius avevano in precedenza intentato azioni giudiziarie contro il Ministero della Salute al fine di ottenere ristoro per i danni subìti, e si rivolgevano successivamente alla Corte di Strasburgo sollevando plurime doglianze.

In particolare, alcuni tra i ricorrenti avevano già ottenuto dai giudici italiani, tra il settembre e l’ottobre del 2009, sentenze in proprio favore di condanna del Ministero della Salute al risarcimento dei danni subìti. Tuttavia, le somme liquidate in sede giudiziaria non sono mai state versate agli interessati.

In secondo luogo, parte dei ricorrenti lamentava una violazione dell’art. 2 CEDU, in tema di diritto alla vita sotto il profilo procedurale, per non avere, lo Stato, adempiuto ai doveri che gli sono propri secondo quanto previsto dal diritto interno. Sul punto, pare opportuno ricordare che in più occasioni il Giudice di legittimità ha ribadito che la responsabilità del Ministero della salute per contagio da emotrasfusioni di sangue infetto debba essere inquadrata nella clausola generale di cui all’art 2043 c.c., in violazione del principio generale del neminem laedere. Su quest’ultimo gravano infatti obblighi di controllo e vigilanza nella raccolta e distribuzione di sangue umano per uso terapeutico, affinché sia utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standards di esclusione dei rischi (Cass. Civ., III sez. sent. n. 1136/2015).

In merito alla generalità dei ricorsi, il Governo eccepiva la irricevibilità degli stessi, per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne secondo quanto stabiliti ex art. 35 CEDU. Si osservava infatti che il legislatore, con l’adozione dell’art. 27-bis del d.l. 90/2014, aveva previsto un meccanismo transattivo che consentiva ai ricorrenti di ricevere, a titolo di equa riparazione e in un’unica soluzione, la somma di euro 100.000,00 per coloro i quali avessero contratto malattie a seguito di trasfusioni di sangue o di somministrazioni di emoderivati infetti, ed euro 20.000 per i soggetti che avessero subìto un danno a seguito di vaccinazioni obbligatorie, entro il termine ultimo del 31 dicembre 2017.

In via preliminare e con riguardo al primo gruppo di doglianze, la Corte di Strasburgo ha ribadito, ricordando quanto dalla stessa affermato nel caso Hornsby c. Grecia, che il diritto alla effettiva tutela giurisdizionale garantita dall’art. 6 CEDU resterebbe senz’altro frustrato se l’ordinamento giuridico interno di uno Stato contraente non garantisse anche l’esecuzione delle decisioni giudiziarie divenute definitive ed obbligatorie.

Sotto altro profilo, la Corte ha ritenuto che vi fosse stata violazione anche dell’art. 2 CEDU, in ragione della durata eccessiva dei processi dinanzi ai giudici italiani e della mancata adozione da parte del Governo delle misure necessarie al fine di offrire risposte adeguate e conformi agli obblighi procedurali discendenti dal predetto articolo.

Richiamando l’art 35 CEDU, infine, la Corte ha rilevato che la previsione dello strumento transattivo ex d.l. 90/2014 si inscrive nella logica di trovare soluzione a un contenzioso il cui contenuto e la posta in gioco sono di non poco rilievo. Dopo aver considerato diversi criteri, quali l’accessibilità a questo tipo di rimedio da parte dei cittadini e l’adeguatezza dell’indennizzo offerto dallo Governo italiano ai cittadini danneggiati ovvero ai loro aventi causa, i giudici di Strasburgo hanno concluso che il rimedio messo in atto dall’art. 27-bis del d.l. 90/2014 costituisse una via di ricorso da esperire prima di adire la Corte.

Due sono dunque le vie offerte ai cittadini italiani: da una parte, quella di continuare a coltivare i giudizi civili in corso sperando di ottenere una somma superiore a 100.000 euro, dall’altra, essi possono accettare la somma stabilita dal d.l. 90/2014. Inoltre, i ricorrenti hanno la possibilità di rivolgersi alla Corte Europea dei diritti umani nel caso in cui, dopo il 31 dicembre 2017, il rimedio de quo dovesse risultare inefficace ai fini della composizione dei loro giudizi.