Europa, immigrazione e derivati: tra sospiri di sollievo e nuove minacce

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“Adelante, Pedro, con juicio”. L’invito alla prudenza rivolto dal cancelliere Antonio Ferrer al suo cocchiere, mentre la carrozza prova a farsi largo tra la folla tumultuante, ben si presta forse a descrivere il clima politico-economico e sociale percepito dall’opinione pubblica, questa settimana, attraverso il racconto dei media. Certo, l’aria che tira non è paragonabile, per fortuna, a quella descritta dal Manzoni nella Milano dei Promessi Sposi, ma una certa apprensione comunque ristagna e non solo tra confini, ma anche oltre la cinta daziaria nazionale.

Tensione che non s’è sciolta, per dire, con la vittoria del verde ed europeista convinto Alexander Van der Bellen sull’ultranazionalista Norbert Hofer nelle presidenziali della vicina Austria. Bellen, infatti, ha vinto per un soffio, appena 31 mila voti di differenza, con il 50,3%di consensi, a conclusione di un gioco di porte scorrevoli che hanno visto ora il primo ora il secondo alternarsi sugli altari e nella polvere. E ha vinto a conclusione dello spoglio delle schede votate per corrispondenza. Aspetto che non ha impedito al tosto Hofer di riconoscere la sconfitta, mentre – per dire – in circostanze analoghe ed una posta in gioco decisamente minore (qualche deputato in più) da noi si sarebbe gridato puntualmente allo scandalo e al golpe. Come peratlro è già avvenuto.

Ad ogni buon conto, con il risultato l’Italia ha tirato decisamente un sospiro di sollievo – ha confessato il ministro degli Esteri Palo Gentiloni – ed evitato di ritrovarsi un muro sul confine, e proprio mentre un nuova e più numerosa ondata di migranti sta sbarcando sulle nostre coste. E con essa, una bimba senza mamma di appena nove mesi, il cui fortunoso destino – per un attimo – ha sciolto in tenerezza anche il più duro dei cuoi leghisti. E non solo.

Dire, però, che quei 30 mila voti possono aver deciso il futuro dell’Europa oppure che una tenera naufraga aperto l’opinione pubblica ad una diversa accoglienza è retorica senza senso. Passata l’emozione, infatti, a ruota seguiranno le elezioni in Spagna e in Gran Bretagna e poi, ancora, in Francia, Germania e Italia. E così gli sbarchi che continueranno e saranno, anzi, sempre più numerosi e con un maggiore carico di dramma ed emozioni. Sicché, si riproporranno gli stessi temi. E sarà ogni volta una finestra di opportunità per provare a costruire una diversa Europa o, semplicemente, un’occasione per tirare il fiato.  

Come sta accadendo, del resto, per la Grecia che l’altro giorno, dopo dodici ore di serrato negoziato, s’è vista finalmente concedere dall’Eurogruppo una nuova tranche di aiuti (10,3 miliardi) per ristrutturare – si dice – il proprio debito. E sarebbe da crederci se l’evento non nascondesse in sé un gioco drammatico e paradossale. E cioè che chi aiuta, in questo caso, è anche il creditore che si vedrà immediatamente restituito i soldi indietro, lasciando ad Atene soltanto le briciole e l’impegno di nuove e insostenibili misure draconiane. Le quali, in ogni caso, non saranno di nessuno aiuto per risolvere la crisi umanitaria (e sì, ecco un altro dramma) in cui versa quel paese. 

E questo mentre sul mondo – e, dunque, sulla responsabilità dei Grandi della terra che intanto a Ise-Shima in Giappone, per iniziativa, va detto, del premier italiano Matteo Renzi, finalmente hanno riconosciuto che la “priorità è la crescita” e alla “crisi globale dei migranti serve una risposta globale” – incombe una nuova e globale minaccia. Ovvero, una nuova bomba finanziaria che, secondo Graham Summers, responsabile strategist dei mercati per Phoenix Capital Research, potrebbe esplodere in qualsiasi momento. Una bomba che sarebbe innescata ancora una volta dai derivati, gli stessi che hanno fatto deflagrare la crisi del 2008 con il conseguente crash dei mercati di tutto il mondo.

E’ appena il caso di ricordare – per puro sciovinismo, evidentemente – che la banca più esposta ai derivati è Deutsche Bank, la quale ha reagito davvero poco bene alla decisione di Moody’s di tagliare il rating su alcuni suoi bond. E, tuttavia, è un dato incontrovertibile che colosso tedesco abbia un bilancio appesantito da derivati per un valore superiore a 75.000 miliardi di dollari: pari, cioè, a 20 volte circa il Pil della Germania e vicino al valore del Pil globale.

Così come è incontrovertibile il dato secondo cui le banche americane hanno nei loro bilanci derivati per un valore superiore a 200.000 miliardi di dollari. Ma attenzione: più del 77% di questi derivati è rappresentato da contratti sui tassi di interesse. E la storia si ripete. Come quella relativa ai colossi di Wall Street riassunti nel famoso acronimo TBTF (Too-Big-to-Fail, troppo grandi per fallire) che infatti hanno una esposizione ai derivati sui tassi di interesse calcolata in 156.000 miliardi di dollari.

Ma lasciamoci prendere dallo sconforto. Dunque, occorre giudizio e prudenza. E, soprattutto, serietà. Da qui l’apprezzamento per il primo discorso da presidente di Confindustria del campano Enzo Boccia: La nostra economia è senza dubbio ripartita, ma non è in ripresa”, ha detto. “E’ una risalita modesta, deludente, che non ci porterà in tempo brevi ai livelli pre-recessione. Dobbiamo costruire un capitalismo moderno fatto di mercato, apertura ai capitali, investimento nell’industria del futuro. Non partiamo da zero”. Buon lavoro.