Supermercato Italia

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Lo scorso 8 aprile l’imprenditore Urbano Cairo ha lanciato un’offerta pubblica di scambio (OPS) sul gruppo editoriale RCS mediante la quale ha proposto l’assegnazione di 0,12 azioni Cairo Communication per ciascun titolo RCS apportato, valorizzando complessivamente la società 290 milioni di euro. A distanza di poco più di un mese, lo scorso 16 maggio, una cordata guidata dall’imprenditore Andrea Bonomi ha lanciato un’offerta pubblica d’acquisto (OPA) in contanti, al prezzo per azione RCS di 0,70 euro, corrispondente a una valutazione della società di circa 365 milioni di euro. L’offerta è stata promossa sul 100 per cento del capitale e i soci Diego Della Valle, Mediobanca, UnipolSai Assicurazioni e Pirelli & C., partner della cordata guidata da Andrea Bonomi e complessivamente titolari del 22,6 per cento del capitale di RCS, si sono già impegnati a conferire le loro azioni in OPA. Per effetto del susseguirsi delle due offerte, il titolo azionario RCS si è apprezzato in borsa in poche settimane di oltre l’80 per cento, passando dal valore di 0,39 euro circa dello scorso 4 aprile (minimo storico) alla quotazione attuale superiore al prezzo fissato per l’OPA guidata da Bonomi. Tuttavia, se allarghiamo l’orizzonte temporale di osservazione, solo dodici mesi fa il prezzo del titolo RCS era pari a 1,24 euro, un valore del 70 per cento circa superiore rispetto a quello attuale. È evidente, dunque, che prima Urbano Cairo e poi Andrea Bonomi abbiano “colto l’attimo” per tentare la scalata a prezzi da saldo al primo gruppo editoriale italiano, profittando del clima generalizzato di sfiducia che ha nuovamente investito il nostro mercato borsistico che, nel caso specifico, ha determinato un crollo delle quotazioni del titolo RCS di circa il 50 per cento dallo scorso mese di novembre al mese di aprile 2016.

Sempre in tema di (potenziali) scalate, è solo di qualche giorno fa l’indiscrezione secondo la quale l’amministratore delegato del colosso automobilistico cinese Ghangzhou Automobile Group, partner di Fiat Chrysler (FCA) che produce nello stabilimento di Changsha i modelli “Jeep Cherokee” dall’ottobre 2015 e “Renegade” dalla scorsa metà di aprile, starebbe valutando l’opportunità di spingersi oltre la semplice cooperazione industriale con l’obiettivo di formulare a Sergio Marchionne e John Elkann un’offerta per acquistare una quota rilevante del capitale del gruppo italo americano. A titolo di cronaca, solo un anno fa il titolo FCA (a valori omogenei post scorporo di Ferrari avvenuto lo scorso 3 gennaio) valeva in borsa circa 9,5 euro, un prezzo superiore di oltre il 50 per cento rispetto alla quotazione attuale, mentre nel corso dell’anno 2016 l’azione ha ceduto circa il 25 per cento nonostante il gruppo abbia realizzato settantadue mesi consecutivi di crescita del fatturato, abbia raddoppiato l’utile nell’anno 2015 (due miliardi di euro) rispetto all’esercizio precedente e nel primo trimestre 2016 abbia raddoppiato l’utile operativo (1,4 miliardi di euro) e conseguito un utile netto di 528 milioni di euro, realizzando nello scorso mese di marzo il record assoluto di vendite negli Stati Uniti.

Se spostiamo infine l’analisi sul settore bancario, nel primo trimestre del 2016 i primi tre istituti di credito italiani, Intesa Sanpaolo, Unicredit e BMPS, hanno realizzato complessivamente circa 1,3 miliardi di euro di utile netto (rispettivamente 806, 406 e 93 milioni) e hanno ridotto considerevolmente gli accantonamenti sui crediti deteriorati; ciò nonostante, nel 2016 le azioni dei tre gruppi hanno subito una caduta delle quotazioni rispettivamente del 24 per cento (Intesa Sanpaolo), 44 per cento (Unicredit) e 52 per cento (BMPS).

In sintesi, nell’anno in cui il nostro governo ha appena ottenuto uno sconto di 13,5 miliardi di euro dalla Commissione UE sulla prossima manovra finanziaria grazie ai tangibili progressi che hanno favorito l’uscita del Paese da un lungo ciclo recessivo, ancora una volta la borsa italiana rischia di diventare il “supermercato” all’interno del quale si espongono a prezzi da saldo i gioielli della nostra industria a causa del vortice di pessimismo che ha provocato la caduta dell’indice azionario FTSEMIB del 20 per cento circa da inizio anno, nonostante le principali aziende quotate abbiano presentato degli ottimi risultati sia nell’esercizio 2015 che nel primo trimestre del 2016.

È dunque necessario che i nostri professionisti del risparmio intervengano quanto prima per riportare le quotazioni di borsa a prezzi “razionali”, altrimenti assisteremo inermi alla colonizzazione delle principali aziende italiane per poi, secondo tradizione, piangere lacrime da coccodrillo.