Terrore a Bruxelles, il racconto dei testimoni: “qui c’è il delirio, la gente piange per strada”

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Da Bruxelles le prime tesimonianze dopo gli attacchi kamikaze e con bombe all’aeroporto e alla metro.

Qui c’è davvero il delirio, non immaginavamo potesse succedere davvero, né che si arrivasse a questo punto“. Racconta Francesco Cisternino, pugliese, che lavora a Bruxelles come ‘policy advisor’ per Confcommercio,  “Venendo al lavoro – dice – ho visto persone in lacrime per strada: dai taxi stanno facendo scendere tutti per i ‘security check’, stanno controllando chiunque”. Francesco riferisce che una sua collega “che si trovava sul treno in metropolitana è stata fatta scendere, insieme agli altri passeggeri che hanno dovuto camminare sui binari per uscire dalla Metro”. Per ora, aggiunge, “le linee dei telefoni cellulari sono tutte in tilt mentre i social funzionano”. “Stavolta – conclude – è veramente brutto”.

“Il mio ragazzo è salvo, ma oggi potevo esserci anche io…”. Scoppia in lacrime la giovane Larissa che attende con la futura suocera nel centro di raccolta di Zaventem l’arrivo del fidanzato Stef, 25 anni, addetto alla sicurezza dell’aeroporto. “Ci ho parlato, sta bene. Stava lavorando al controllo bagagli e passeggeri, lo stesso lavoro mio. Ha detto di aver sentito due esplosioni poco prima delle otto, nella zona prima dei controlli di sicurezza. C’era sangue dappertutto. Ha detto di aver visto un grande fucile in terra. Lui si è subito nascosto in una toilette, ma poi la polizia ed i soldati hanno evacuato tutti attraverso i gate di imbarco, verso le piste”.    

Hussein, un pachistano di 53 anni che vive nelle Fiandre ha la voce rotta dalla paura e dalla rabbia: “Questo non è l’Islam. No, non è l’Islam”.  Porta gli abiti tradizionali e la barba dei musulmani osservanti. E’ con gli anziani genitori, sconvolti e in lacrime. Era in partenza dall’aeroporto di Bruxelles per Doha, da dove avrebbe raggiunto Sialkot in Pakistan. Con lui, Akhtar Pervez, 44 anni. “Erano le otto e cinque – racconta – Avevamo superato i controlli di sicurezza ed ero nel reparto profumi del duty free. Ho sentito un ‘pofff’ ed il tetto di vetro è crollato su di noi. Due secondi dopo, un’altra esplosione, ma stavolta veniva da fuori, alle nostre spalle. Sono felice che mi sia andata bene. Ma sto male. La situazione è molto brutta. Non so se tutto questo dipenda dalla cattura di Salah o meno. Nessuno lo sa”. Akhtar vive da più di cinque anni in Belgio, parla correntemente fiammingo. Sente che l’atmosfera è cambiata drammaticamente: “La gente ormai è spaventata dagli islamici. Il mondo sta cambiando. Tutto è molto difficile. Guardi chi ti passa accanto e non capisci chi è buono e chi è cattivo. Ma intanto la mia vacanza è finita qui. Me ne torno a casa, prendo il primo treno per Anversa appena lo trovo”. 

 

Da Bruxelles le prime tesimonianze dopo gli attacchi kamikaze e con bombe all’aeroporto e alla metro.

Qui c’è davvero il delirio, non immaginavamo potesse succedere davvero, né che si arrivasse a questo punto“. Racconta Francesco Cisternino, pugliese, che lavora a Bruxelles come ‘policy advisor’ per Confcommercio,  “Venendo al lavoro – dice – ho visto persone in lacrime per strada: dai taxi stanno facendo scendere tutti per i ‘security check’, stanno controllando chiunque”. Francesco riferisce che una sua collega “che si trovava sul treno in metropolitana è stata fatta scendere, insieme agli altri passeggeri che hanno dovuto camminare sui binari per uscire dalla Metro”. Per ora, aggiunge, “le linee dei telefoni cellulari sono tutte in tilt mentre i social funzionano”. “Stavolta – conclude – è veramente brutto”.

“Il mio ragazzo è salvo, ma oggi potevo esserci anche io…”. Scoppia in lacrime la giovane Larissa che attende con la futura suocera nel centro di raccolta di Zaventem l’arrivo del fidanzato Stef, 25 anni, addetto alla sicurezza dell’aeroporto. “Ci ho parlato, sta bene. Stava lavorando al controllo bagagli e passeggeri, lo stesso lavoro mio. Ha detto di aver sentito due esplosioni poco prima delle otto, nella zona prima dei controlli di sicurezza. C’era sangue dappertutto. Ha detto di aver visto un grande fucile in terra. Lui si è subito nascosto in una toilette, ma poi la polizia ed i soldati hanno evacuato tutti attraverso i gate di imbarco, verso le piste”.    

Hussein, un pachistano di 53 anni che vive nelle Fiandre ha la voce rotta dalla paura e dalla rabbia: “Questo non è l’Islam. No, non è l’Islam”.  Porta gli abiti tradizionali e la barba dei musulmani osservanti. E’ con gli anziani genitori, sconvolti e in lacrime. Era in partenza dall’aeroporto di Bruxelles per Doha, da dove avrebbe raggiunto Sialkot in Pakistan. Con lui, Akhtar Pervez, 44 anni. “Erano le otto e cinque – racconta – Avevamo superato i controlli di sicurezza ed ero nel reparto profumi del duty free. Ho sentito un ‘pofff’ ed il tetto di vetro è crollato su di noi. Due secondi dopo, un’altra esplosione, ma stavolta veniva da fuori, alle nostre spalle. Sono felice che mi sia andata bene. Ma sto male. La situazione è molto brutta. Non so se tutto questo dipenda dalla cattura di Salah o meno. Nessuno lo sa”. Akhtar vive da più di cinque anni in Belgio, parla correntemente fiammingo. Sente che l’atmosfera è cambiata drammaticamente: “La gente ormai è spaventata dagli islamici. Il mondo sta cambiando. Tutto è molto difficile. Guardi chi ti passa accanto e non capisci chi è buono e chi è cattivo. Ma intanto la mia vacanza è finita qui. Me ne torno a casa, prendo il primo treno per Anversa appena lo trovo”.