Nella guerra valutaria. Europa in ordine sparso

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È stata la settimana delle Banche centrali, quella appena trascorsa. Le attenzioni di investitori e speculatori sono state, infatti, tutte catalizzate dalle misure (ma almeno in due casi, si è trattato di non misure) adottate in materia di tassi dai più importanti istituti centrali di credito.

Decisioni (o non decisioni) arrivate, peraltro, sulla scorta dei provvedimenti della Bce, che la settimana precedente aveva, per così dire, aperto le danze con provvedimenti di politica monetaria decisamente forti, allo scopo di stimolare una situazione economica – quella dell’eurozona, nel caso specifico – tutt’altro che effervescente, ma che a ben vedere non è dissimile dalla condizione vissuta da altre importanti aree economiche del globo. E, dunque, decisioni scaturite, giocoforza, dalla necessità di evitare contraccolpi alle rispettive economie. Ma non solo. Perché, come hanno scritto autorevoli giornali, l’uomo della strada è ormai sempre più convinto che sia in atto una vera e propria guerra valutaria. 

Sarà vero? Intanto raccontiamo i fatti, nell’ordine di come si sono succeduti. 

Ad inizio settimana c’è stato l’annuncio della Bank of Japan (BoJ) che ha confermato i tassi d’interesse allo 0,10% in negativo, dopo averli introdotti a sorpresa, con una mossa senza precedenti nel Sol Levante, nel meeting di fine gennaio. La BoJ ha anche confermato il mantenimento del piano di espansione della base monetaria, portato a 80 mila miliardi di yen l’anno (635 miliardi di euro al cambio attuale) nell’ottobre del 2014. Le mosse della BoJ hanno spinto al ribasso tutti i mercati, facendo in primis rafforzare lo yen contro il dollaro Usa. E per i grandi esportatori del Sol Levante si è trattata di una pessima notizia. 

Quindi è stata la volta, mercoledì, della Federal Reserve, che non solo ha lasciato invariati i tassi d’interesse (dopo il ritorno a una politica di rialzo per la prima volta dal 2006 in dicembre) ma ha anche confermato che nel corso del 2016 gli aumenti saranno due e non quattro come inizialmente previsto. Mossa questa che ha continuato a indebolire il dollaro Usa nei confronti di tutte le principali monete, persino della sterlina, pure in crisi per il rischio di Brexit. Ovviamente, il deprezzamento del dollaro è sicuramente una buona notizia per gran parte del mondo che accede al credito denominato proprio nella valuta a stelle e strisce e soprattutto per il petrolio, volato giovedì ai massimi da inizio anno, avviato – mentre scrivo – a segnare un guadagno del 3% nell’intera ottava.

Sempre sul fronte valutario è stato significativo anche l’intervento di Pechino: la People’s Bank of China (PboC) ha aumentato dello 0,52% il fixing giornaliero dello yuan sul dollaro, stabilendo il valore medio della sua valuta a 6,4628 dollari, ai massimi dal 16 dicembre. L’incremento dello 0,52% del fixing è il maggiore dopo quello dello 0,54% deciso il 2 novembre, che resta il più elevato da quando nel 2005 la PboC ha disancorato lo yuan dal dollaro. 

E’ toccata infine alla Bank of England (BoE), che ha mantenuto fermi i tassi di interesse allo 0,5% e il piano di acquisto asset (quantitative easing, Qe) a 375 miliardi di sterline; e alla Banca Nazionale Svizzera (BNS) che parimenti mantenuto invariati i tassi (tasso sui depositi a vista -0,75% e Libor a 3 mesi compreso fra il -1,25% e il -0,25%) senza mettere mano alla soglia di esenzione per le banche sui tassi negativi.

Conclusione? Nella guerra valutaria internazionale – se guerra è – la Fed si è schierata dalla parte della Cina, che ha disperatamente bisogno di un dollaro debole, al quale le sue attività sono legate a doppio filo e fa da sponda alla Gran Bretagna, alleato privilegiato fra tutti gli alleati. Il tutto alle spese di Eurozona e Giappone, che invece vorrebbero vedere un indebolimento delle proprie rispettive valute nei confronti del biglietto verde. Insomma, il dollaro è scivolato ai minimi dell’anno sullo yen, attestandosi appena sopra il livello di 111 yen, mentre l’euro si è rafforzato a 1,13 dollari, vanificando di fatto le recenti misure straordinarie di espansione monetaria decise da Bce e Banca del Giappone. 

Dunque, è questo lo scenario che l’Europa – e l’Italia con essa – ha di fronte. Non sembra tuttavia che a Bruxelles se ne rendano conto. Almeno questa è la sensazione che se ne trae da quello che i giornali e più in generale i media pubblicano. 

Una sensazione da: si salvi chi può. Altro che Europa Unita.