Rai, dal 19 novembre su RaiPlay “Chi vuole parlare d’amore?”

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Roma, 19 nov. (askanews) – Qual è la verità sull’amore e sul sesso tra i ragazzi? Quali sono i loro desideri e i loro timori? Da martedì 19 novembre, in esclusiva su RaiPlay, la nuova docuserie “Chi vuole parlare d’amore?” – scritta Isabel Achaval e Chiara Bondì con Chiara Cordelli, e prodotta da Panamafilm in collaborazione con Rai Contenuti digitali e Transmediali – racconta quello che le madri immaginano, e quella che è invece la realtà sentimentale dei figli. Come ha spiegato oggi Chiara Bondì nella conferenza stampa di presentazione, l’idea della docuserie nasce dal fatto che “noi prima di essere due registe siamo due madri di figlie adolescenti. Nasce quindi da un desiderio proprio quotidiano di sapere qualcosa di più della loro vita, delle loro storie che a casa non raccontano. Nasce da una urgenza di superare un muro in casa e dal fatto che il mondo dei ragazzi, degli adolescenti, ci sta accanto e ci ha sempre affascinato molto. Abbiamo deciso così di fare questa indagine, grazie ai nostri produttori che ci hanno sostenuto”.

Gli stessi produttori, ha aggiunto Isabel Achaval, “hanno avuto l’idea che noi andassimo in giro a incontrare i ragazzi e apparissimo in video, noi inizialmente non volevamo”, ma alla fine “ci siamo divertite tantissimo. Dovevamo ingegnarci per incontrare i ragazzi, farli parlare, non è stato facile. Andavamo con la pizza, perché uscivano alle due, affamati, con i pasticcini, i biscotti, i cartelloni, i megafoni, e stato un po’ imbarazzante però alla fine le interviste sono arrivate”.

“Chi vuol parlare d’amore”, ha spiegato a sua volta Alessio Rocchi, vice direttore Contenuti Digitali e Transmediali, “è una docuserie in cinque puntate della durata di circa 30 minuti l’una, ed è un viaggio nelle emozioni e nei sentimenti di questa generazione, di questi ragazzi, effettuato dalle nostre due registe, Isabel e Chiara, che non sapevano bene cosa pensavano i loro figli e le loro figlie adolescenti e quindi hanno deciso di prendere uno scooter, inforcare una vespa di morettiana memoria, e di andare in giro per i quartieri di Roma a parlare con questi ragazzi. Sono andate nei quartieri bene, nei quartieri più ricchi, ma anche nelle periferie, sono andate fuori dalle scuole, nei bar, nei luoghi di aggregazione, e hanno parlato con loro, hanno parlato di tutto, di amore, di sessualità, dei sentimenti, di amicizia, di relazioni”.

“La cosa che mi ha colpito di più – ha aggiunto Rocchi – è stato il loro atteggiamento: non si sono poste come si pongono spesso gli adulti con l’idea di imporre un loro punto di vista, bensì con un atteggiamento di ascolto perché volevano davvero capire chi erano questi ragazzi, e questo ha fatto in modo che entrassero in sintonia con loro e facessero delle scoperte. La prima – e lo dicono nella prima puntata – è che questi ragazzi sanno parlare delle emozioni e dei sentimenti come forse noi non sapevamo fare alla loro età, e ci sono alcuni di questi racconti che sono belli, sono molto toccanti, perché questi ragazzi dicono cose semplici ma straordinarie. Secondo me la cosa bella di questa docuserie è che bastato saperli ascoltare questi ragazzi, ci hanno detto tante cose, tante cose importanti, tante cose vere, belle, soprattutto a noi adulti”.