Ricerca, la strada per smascherare il cancro passa per i batteri intestinali

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Un gruppo di ricercatori, coordinato da Luigi Nezi dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), in collaborazione con gli oncologi Paolo Ascierto e Luigi Buonaguro del Pascale di Napoli, ha individuato nel nostro microbiota intestinale fattori in grado di predire, con un semplice test eseguito su cellule del sangue, quali pazienti con melanoma avanzato risponderanno all’immunoterapia e quali no, aprendo una nuova strada per lo sviluppo di un vaccino terapeutico. I risultati sono stati pubblicati ieri sulla rivista Cell Host and Microbe. Per questo studio sono stati arruolati presso l’Ieo di Milano e l’Istituto Nazionale dei Tumori (Int) «Fondazione Pascale» di Napoli 23 pazienti con melanoma inoperabile e candidati a ricevere la terapia che, bloccando la proteina linfocitaria PD-1, riattiva la risposta immunitaria antitumorale. Da ciascun partecipante sono stati raccolti dati clinici e diversi campioni biologici, sia prima dell’inizio della terapia che mensilmente durante il periodo del trattamento (fino a 13 mesi), consentendo così di associare variazioni del microbiota intestinale con altri marcatori infiammatori ematici. Il legame fra microbiota intestinale e immunoterapia è noto da tempo, ma ora lo studio dimostra perché e come avviene l’interazione. Infatti, da un’analisi approfondita dei geni batterici (metagenomica) emerge che il microbiota intestinale dei pazienti responsivi all’immunoterapia è arricchito di alcuni geni che portano alla sintesi di peptidi (frammenti di proteine), i quali mimano esattamente la struttura di alcuni dei principali antigeni tumorali espressi dalle cellule di melanoma. Poiché la somiglianza consente a linfociti diretti contro i peptidi batterici di riconoscere anche i loro analoghi tumorali, l’immunità antitumorale ne esce rafforzata. Questa scoperta consentirà in breve tempo di condurre uno screening dei pazienti candidati a immunoterapia grazie ad un test elettronico per ricercare linfociti che riconoscono i peptidi batterici analoghi a quelli del melanoma. «La possibilità di avere a disposizione marcatori che predicono la risposta ad un trattamento o meno – dice il Paolo Ascierto, direttore del Dipartimento Melanoma e Immunoterapia dell’Irccs partenopeo – rappresenta un aspetto importante della ricerca oncologica. In questo modo si selezionano i pazienti che possono effettivamente avere un beneficio da una terapia evitando inutili costi e possibili effetti collaterali a coloro che non ne avranno beneficio. Inoltre, – sostiene Ascierto – consente di focalizzare la ricerca su quei pazienti resistenti ab initio ad un trattamento».