Da martedì 5 a domenica 10 novembre (ore 20:45; sabato 9 ore 19; domenica 10 ore 18), al Teatro Bellini di Napoli fa tappa Il grande vuoto, terza tappa della Trilogia del vento di Fabiana Iacozzilli che, dopo il successo nella passata stagione, torna in scena in una lunga tournée fino al 22 maggio 2025. Scritto con Linda Dalisi in una produzione Cranpi, La Fabbrica dell’Attore, La Corte Ospitale e Romaeuropa Festival, è un lavoro di ricerca – interpretato dai performer Ermanno De Biagi, Francesca Farcomeni, Piero Lanzellotti, Giusi Merli e Mona Abokhatwa, quest’ultima in scena per la prima volta – con cui la regista e autrice Iacozzilli si interroga sul vuoto e sul senso della memoria. Il Grande vuoto è il tentativo di raccontare una grande storia d’amore: quella tra una madre, i suoi figli e un padre che muore, indagando l’ultimo pezzo di strada che una famiglia percorre prima di svanire nel vuoto e affidando alla tragedia forse più cupa del teatro shakespeariano, Re Lear, il compito di trasformare il dolore attraverso il gioco teatrale. A firmare il lavoro, anche le musiche originali di Tommy Grieco, il suono di Hubert Westkemper, le scene di Paola Villani e il video di Lorenzo Letizia.
Un dissolversi, quello raccontato nello spettacolo, che viene amplificato dal progressivo annientamento delle funzioni cerebrali della madre, una ex attrice, colpita da una malattia neurodegenerativa alla quale rimane progressivamente solo il ricordo del suo cavallo di battaglia, un monologo tratto appunto da Re Lear. Un prosciugarsi a cui fa eco lo svuotarsi di esseri umani dalla casa di famiglia, che al contrario si popola di oggetti, di ricordi che aumentano, pesano e riempiono tutte le stanze. Come scrive Linda Dalisi: «Il vuoto non è il nulla, è uno stato fisico che gorgoglia».
Nella pièce, che trova risonanze e spunti in Una donna di Annie Ernaux, nel romanzo Fratelli di Carmelo Samonà e in I cura cari di Marco Annicchiarico, la narrazione teatrale si contamina con il video: attraverso fotocamere in grado di proiettare ad alta risoluzione e con visione notturna fino a trenta piedi, i figli possono continuare a vivere la propria vita ed entrare in quella del proprio genitore senza essere visti.
Guardare la madre giocare al solitario, fissare la televisione spenta, parlare con persone che non esistono, non farsi il bidet, piangere, stare seduta e ferma sul bordo del letto, passare la notte a tirare fuori dai cassetti fotografie, pezzi di carta, mutande sporche, per poi rimetterli dentro. «Tante le domande che ci hanno spinto a sprofondare in questa materia artistica – spiega Fabiana Iacozzilli – ad addentrarci in questa ricerca su cosa rimane di noi e se continua ad esistere qualcosa di quello che siamo stati mentre ci approssimiamo alla fine della vita. Ma una su tutte è forse la più adatta a questo lavoro ed è quella letta in un fumetto dell’autrice Giulia Scotti: “il punto è trasformare il dolore in bellezza. Ci riusciremo ancora?”». La trilogia del vento è un trittico che intraprende un viaggio tra le grandi tappe dell’esistenza umana come opportunità generative: l’infanzia e il rapporto con i maestri che ci mostrano o ci impongono delle vie da percorrere è al centro del pluripremiato La classe, un docupuppets per marionette e uomini; la maturità, la genitorialità e il riuscire a prendersi cura sono protagonisti di Una cosa enorme; infine, la vecchiaia in rapporto con il vuoto e il senso della memoria vengono indagati in Il grande vuoto.
I punti di partenza sono stati da un lato – e per la prima volta – il dato biografico dell’autrice trasfigurato attraverso rappresentazioni immaginifiche e dall’altro il lavoro di nutrimento della materia artistica, condotto attraverso interviste a donne e uomini pronti a condividere frammenti e ricordi della propria vita.
Concude Fabiana Iacozzilli: «Nel primo capitolo ho scelto di lavorare con il teatro di figura, mettendolo in dialogo con il teatro documentario. Il risultato è stato la nascita di una lingua ibrida, diventata poi linea portante della mia elaborazione drammaturgica. Il secondo lavoro è invece un dispositivo in bilico tra la forma spettacolare e la dimensione installativa con al suo interno la crudezza di una lingua più silente. “Il grande vuoto” è uno spettacolo in cui contamino la narrazione teatrale con il video, con la ripresa live degli accadimenti scenici e con l’utilizzo del montaggio cinematografico. In questo nuovo progetto – come già fatto con i linguaggi scenici scelti nelle due creazioni precedenti – l’interesse per il cinema e le sue potenzialità narrative è legato alla ricerca di una forma espressiva, di una lingua scenica che abbia una precisa funzione drammaturgica».
Il grande vuoto è una produzione Cranpi, La Fabbrica dell’Attore-Teatro Vascello, La Corte Ospitale, Romaeuropa Festival, con il contributo del MiC – Ministero della Cultura e con il sostegno di Accademia Perduta / Romagna Teatri, Carrozzerie n.o.t, Fivizzano 27, Residenza della Bassa Sabina, Teatro Biblioteca Quarticciolo.