Storia diplomatica: come e quando vengono inventate le Ambasciate

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Chi ha inventato le Ambasciate? Non si sa esattamente chi abbia avuto l’idea di mandare delle persone a vivere in un’altra nazione come rappresentanti stabili del proprio governo. L’idea degli ambasciatori è antichissima, ma per moltissimo tempo ha significato solo una missione temporanea, per fare un accordo, evitare una guerra, magari combinare un matrimonio. Una persona, o una delegazione, veniva mandata a discutere e a trattare con chi governava un’altra città o un altro Stato. Gli inviati si occupavano di questioni particolari, con un mandato preciso, e poi tornavano a casa. L’Antico Egitto usava la diplomazia soprattutto per concludere affari commerciali. Nella Grecia classica nasce il concetto della inviolabilità di colui che viene come rappresentante di un altro potere, che poi nei tempi moderni si trasformerà nell’idea della inviolabilità ed extraterritorialità dell’intera sede diplomatica. Il principio grazie al quale il fondatore di Wikileaks Julian Assange ha potuto rifugiarsi nel 2012 nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra dove si trovava  ancora oggi, pur essendo ricercato con un mandato di estradizione.

Forse il primo ambasciatore stabile lo istituì il papa Leone I, quello che fermò Attila e che nel quarto secolo da Roma mandò a Costantinopoli un funzionario che rimanesse lì stabilmente per discutere e trattare con l’Impero d’Oriente. Allora gli ambasciatori si chiamavano apocrisari, parola di origine greca oggi scomparsa che indicava chi si occupava a distanza degli affari di un altro.

La parola ambasciata nasce invece molto più tardi e non si sa bene che cosa voglia dire. Tutti concordano che venga dal provenzale ambaissada, però secondo il dizionario Treccani ci arriva attraverso la parola del latino medievale ambactia che significa “servizio”, secondo altri dal vocabolo celtico ambactos che voleva dire invece “colui che va intorno”, insomma uno che si rende utile mettendosi in viaggio. D’altra parte, in italiano ambasciata indica sia una sede diplomatica stabile che un messaggio consegnato attraverso una terza persona, mentre in inglese embassy è solo la sede.

Di certo, secondo gli storici, furono le città-stato del Rinascimento italiano a sviluppare delle ambasciate stabili. Per esempio Francesco Sforza, signore di Milano, nel 1455 spedì Prospero da Camogli alla corte dell’erede del regno di Francia, Luigi, per avere rapporti stabili con lui. A quanto pare, però, non voleva poi ospitare a sua volta una delegazione francese permanente, per paura che si potesse trasformare in un modo per spiare i suoi affari.

In effetti, una delle caratteristiche più classiche della diplomazia è il sospetto che servano anche a raccogliere informazioni in modo improprio. Un sospetto che permane: Barack Obama poco prima di lasciare la Casa Bianca espulse 35 diplomatici russi e Donald Trump alla fine di agosto ha ordinato di chiudere alcune sedi diplomatiche del Cremlino negli Usa. Ultimi di moltissimi casi.

La vita delle ambasciate stabili, da sempre, è più facile tra i Paesi che vanno d’accordo, come Stati Uniti e Israele, anche se la diplomazia sarebbe più utile per discutere con i Paesi ostili o con i quali si hanno questioni aperte. Nel 2012 l’ambasciatore americano in Libia è stato ucciso a Tripoli durante un attacco di gruppi ribelli ancora non chiarito. Il ritiro degli ambasciatori ha una valenza politica precisa, come dimostra la vicenda dell’ambasciatore italiano in Egitto, ritirato dopo il caso Regeni e poi tornato al Cairo tra le polemiche.

Le ambasciate sono considerate un modo per riconoscere reciprocamente la legittimità dell’altro governo. In Corea del Nord un’ambasciata degli Stati Uniti non c’è. E d’altra parte non ce n’è neppure una italiana, mentre hanno sedi, per esempio, Germania e Gran Bretagna (insieme a non molti altri Paesi del mondo). Roma ospita invece una rappresentanza diplomatica del governo di Kim Jong-un, benché al momento un ambasciatore che ci abiti non c’è.