Giorgia vola in Europa ma “rallenta” in Italia

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Riproponiamo l’articolo di Ermanno Corsi apparso sul Roma di martedì 26 settembre all’interno della rubrica Spigolature

di Ermanno Corsi

Un “ministero” di peso (in portafoglio mille miliardi), competenze di primaria importanza (Pnrr, coesione e riforme, uguaglianze regionali e Mediterraneo), una vice Presidenza operativa e non di semplice facciata: la premier Meloni deve il successo della rilevante posizione di Raffaele Fitto nella nuova Commissione europea, alla propria insistita pressione congiunta con il riconosciuto pragmatismo di Ursula von del Leyen (nonché con il dovuto rispetto per il nostro Paese che è tra i fondatori dell’Unione). Un successo su un doppio piano: quello europeo e quello internazionale. Da questo punto di vista atmosfere più distese sia a Strasburgo e che a Bruxelles. Ma in Italia? Quivi comincian le dolenti note, direbbe Dante.

PREDOMINIO DELL’AMBIGUITA’. Riguarda proprio la politica estera. Non è tanto per la “equivoca” prudenza con cui da Palazzo Chigi si guarda al duello tra la Harris e Trump per la Casa Bianca (il 5 novembre è ormai vicino), quanto per la questione dell’Ucraina. Il vertice del nostro Governo (la premier e i due vice) vi guardano come se fosse in atto, con la Russia, uno scontro a parità di condizioni. Si rischia di perdere di vista chi è l’aggressore e chi l’aggredito; chi scarica senza fare distinzione -con evidenti propositi di sterminio nazista- micidiali bombe su popolazioni, scuole, ospedali e tutte le possibili, aggreganti strutture civili e chi, dall’altra parte, può solo respingere gli attacchi criminali imposti peraltro da un Putin colpito dal mandato di arresto emesso dalla Corte internazionale dell’Aja.

VERGOGNA ITALIANA. Se sulla questione dei rapporti con l’Ucraina (l’aggredita) e la Russia (l’aggressora) si dovesse “pesare” la credibilità del nostro Paese, ebbene: non ci sarebbero molti dubbi nel ritenere che siamo osservati, in Europa e oltre, con “diffidenza” e “curiosità”. La prima per le tre posizioni, molto differenti, all’interno del Governo insediato a Palazzo Chigi; la seconda per vedere fino a che punto può spingersi la scarsa affidabilità che ci caratterizza sul piano della politica internazionale. La premier Meloni dice, in sostanza: sostegno a Kiev fino a una pace accettabile per l’Ucraina; bene, ma in cosa consiste tale sostegno se non si aiuta l’aggredito a respingere indietro l’aggressore perché se ne torni nel suo territorio? Vicepremier Tajani: armi a Kiev sì, ma senza poterne fare uso nemmeno per colpire Putin negli arsenali di ammassamento del suo distruttivo armamentario? Cosa significa se non lasciare, al criminale invasore, di fare tutto quello che vuole in termini di distruzione a tappeto della nazione invasa? Vicepremier Salvini: per quanto detestabile e ben poco discutibile, la sua posizione è meno equivoca: niente armi e nessun tipo di sostegno a Kiev: tutta la questione resti nelle mani di Putin, decida lui quale deve essere il destino dell’Ucraina; i sovranisti orbaniani non faranno obiezioni (salvo a dover precisare cosa intendono dire quando si definiscono “patrioti”: per l’Ucraina questo concetto di patria non esiste?).

I NODI VENGONO AL PETTINE. L’Eurocamera prende una decisione storica (dopo 30 mesi di putiniana invasione): revocare il divieto di usare in territorio russo le armi fornite all’Ucraina. Gli stati membri debbono annullare immediatamente le restrizioni contro gli obiettivi militari. Ben 425 i sì,131 i no,63 gli astenuti. L’Italia del tutto disallineata da queste decisioni con la Lega salviniana che non vuole nemmeno sentirne parlare (c’entrano qualcosa le 500 imprese che, nelle nostre regioni settentrionali, sono gestite dalla Russia?). Nessuna conseguenza, per Palazzo Chigi, sui temi dello sviluppo? Prendiamo il Rapporto Draghi sul destino dell’Europa: Giorgia Meloni esprime piena adesione e riceve a Roma l’ex premier. Salvini reagisce in modo furioso vantandosi che di quel Rapporto “non condivido nemmeno una parola…”. Tajani, esponente di rilievo tra i popolari europei, sta attento a non discostarsi dalla linea della von der Leyen, ma sembra interessato soprattutto a sopravanzare la Lega nei sondaggi.

RISCHIO DISCREDITO. La Meloni gode di buoni posizionamenti (i Fratelli d’Italia stanno sul 30 per cento), ma con situazioni interne così intricate, come si possono affrontare temi che incidono sulla qualità della vita per tutti: migranti e ius scholae, tassa sugli extraprofitti delle banche, autonomia differenziata e intelligenza artificiale, prospettiva di peggioramento della salute pubblica nel Sud e assicurazione sulle case contro le calamità naturali? Tutto questo senza dimenticare il debito pubblico che sta superando i 3 mila miliardi. L’Italia costretta a chiedere di spostare da 4 a 7 anni i tempi per ridurre l’indebitamento. Ma occorrerebbero 13 miliardi l’anno di risparmio per invertire sensibilmente tendenza.

SACRIFICI PER TUTTI. Per vincere durante la seconda guerra mondiale, Churchill promise all’Inghilterra “lacrime e sangue”. Non è senza significato che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ricordino che, per gli interessi sul suo debito, l’Italia spende più che per la nostra pubblica istruzione.