Pietro Valente, addio al farmacista-mecenate che volle farsi editore per cambiare l’immagine di Villaricca

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in foto Pietro Valente

di Nico Pirozzi

Farmacista lo era per professione; editore e mecenate per vocazione. Basterebbero queste poche parole per raccontare quel che è stato Pietro Valente, il fondatore della casa editrice “Cento Autori” e l’ideatore e finanziatore del premio per scrittori emergenti “Il Racconto nel cassetto” e di quello titolato ad “Antonio Ghirelli”. Una persona schiva e riservata, quasi allergica a telecamere e microfoni, dietro la quale si celava la tempra di un leone.
L’aveva dimostrato quando, non ancora ventenne, aveva lasciato la natia Trentola per approdare a Milano, in cerca di un’occupazione, che non tardò molto ad arrivare. Da operaio alla SNIA Viscosa, il gigante della chimica, cominciò ad accarezzare l’idea di iscriversi all’Università. Alla laurea in farmacia ci arrivò sacrificando i “meglio anni della gioventù”. A sorreggerlo fino al traguardo del sospirato “pezzo di carta” non fu solo la sua ostinazione ma anche l’inconscio bisogno di un riscatto sociale a lungo inseguito da un figlio di contadini della provincia di Caserta. Del professionista, che con un intuito e sagacia (e un tantino di fortuna) lo porterà ad aprire a Villaricca una tra le più attrezzate farmacie della provincia a nord di Napoli, al lettore interesserà ben poco. Quel che invece val la pena raccontare è il “debito di gratitudine” (così diceva) che lo legava alla cittadina che l’aveva adottato. E quel debito lo saldò investendo, giorno dopo giorno, anno dopo anno, in cultura. Una parola per molti versi sconosciuta in una terra dove gli interessi della politica e del mondo degli affari guardavano da tutt’altra parte. Sì, Pietro Valente navigò in direzione ostinata e contraria rispetto a quelli che, a metà degli anni Novanta, notoriamente erano gli interessi di un imprenditore nella periferia a nord di Napoli. Ed è così che a inizio anni Duemila si inventò “Il racconto nel cassetto”, che sino all’ultima edizione ha regalato un sogno a tanti sconosciuti con l’amore per la scrittura. Ai sei vincitori delle due sezioni (“Racconti” e “Fiabe e racconti per ragazzi”, i cui lavori erano giudicati da docenti e studenti di prestigiosi istituti scolastici della Penisola) non andava solo un assegno in denaro ma anche la pubblicazione del loro lavoro. Con quest’ultima finalità a distanza di qualche anno vide la luce la casa editrice “Cento Autori”, che con la sua prestigiosa collana di inchieste giornalistiche (Fatti&Misfatti) la portò ben presto alla ribalta nazionale e internazionale. Inchieste coraggiosissime, come quella sui rapporti tra politica e mondo del crimine (“il Casalese”, “Io non taccio”, “Lega SpA”, “Mafie” e “L’altra Gomorra”, solo per citare alcuni titoli), diedero lustro non solo alla sua “Cento Autori”, ma anche a decine di giornalisti. Perlopiù firme sconosciute al grande pubblico, che grazie a un contratto con la “Cento Autori” varcavano per la prima volta il confine di quella precarietà che, sino ad allora, li aveva accompagnati nel loro percorso professionale. Su suggerimento del compianto Massimo Milone, già direttore di Rai Vaticano, istituì il “Premio di giornalismo Antonio Ghirelli”, che portò in questa terra “senza peccato e senza redenzione” (per usare un’espressione cara a Carlo Levi) le più importanti firme del giornalismo nazionale. Era tutto questo e anche altro, Pietro Valente. Un mecenate. Un visionario, che per portare avanti i suoi progetti non bussava alle porte della politica o del potente di turno. Lui era uno spirito libero. Libero come il nome (declinato al femminile) della onlus che aveva costituito a metà degli anni Novanta.
In quella terra arida, nei confronti della quale si sentiva “in debito”, lui – Pietro – ha fatto germogliare un fiore. Che è anche stato sinonimo di riscatto sociale e culturale. Anche se – va aggiunto – sono stati davvero in pochi ad accorgersene. E nell’affermare ciò mi torna alla mente, uno dei personaggi di un famoso film di Ettore Scola: “C’eravamo tanto amati”. Il personaggio era Nicola, che al termine della proiezione di “Ladri di biciclette”, organizzata nel cineclub della sua Nocera, ai benpensanti per i quali De Sica fomentava disordine e odio sociale, così rispondeva: «Nocera è inferiore, perché ha dato i natali a tipi come voi».