Giovannini alla Stampa: L’Italia non ha capito le regole europee. Le pensioni non sono la priorità

In foto Enrico Giovannini

Si riportano di seguito stralci dell’intervista di Luca Monticelli a Enrico Giovannini apparsa il 29 agosto scorso sula Stampa 

A Enrico Giovannini, economista e direttore scientifico dell’ASviS, il dibattito sulle pensioni fa venire in mente che «il nostro Paese non ha ancora capito le nuo- ve regole europee, in quanto non si potrà preparare la prossima legge di bilancio come le precedenti».

Perché?
«L’Italia ha una procedura di deficit eccessivo, quindi deve tagliare l’indebitamento. La Commissione europea ha tra- smesso la traiettoria da segui- re per rientrare in 4 anni, ma il governo ha la possibilità di proporre un contro piano in cui il rientra avviene in 7 an- ni, a patto però che questo pia- no sia accompagnato da inve- stimenti e riforme che aumen- tino il tasso di crescita poten- ziale del Pil, andando quindi a ridurre il rapporto del deficit e del debito sul Pil. Entro il 20 settembre il governo dovrà presentare il piano fiscale di medio termine che sarà ancor più complesso del Pnrr».

Vede una strategia?
«Non abbiamo al momento al cuna informazione su quali sono gli interventi sul bilancio, quali le riforme e gli investimenti che il governo intende presentare alla Commissione europea per avere una dilazione di 3 anni sul piano di rientro».

Quali dovrebbero essere le priorità?
«L’Italia non ha un piano per l’occupazione giovanile e delle donne degno di questo nome. Nei prossimi 7 anni andrebbero messi in campo ambedue per alzare la crescita potenziale, e credo che l’Europa li valuterebbe in modo molto positivo perché in linea con lo spirito del nuovo Patto. Così si affronterebbe una delle nostre debolezze strutturali»:.

Non c’è spazio per una riforma delle pensioni?
«Se l’obiettivo è aumentare il Pil potenziale non è questa la priorità numero uno».

Non pensa sia necessaria anche una flessibilità in uscita?
«Da ministro del Lavoro, nel 2014, sviluppammo non solo l’Ape sociale, ancora in vigore, ma anche l’Ape “ordinario”, un anticipo pensionistico che prevedesse un contributo del lavoratore e dell’impresa, oltre che quello dello Stato per la componente sociale. In questa situazione di grande trasformazione del mercato del lavoro e delle tecnologie è chiaro che le imprese hanno interesse a un ricambio generazionale, ma non mi sembra equo scaricare questa esigenza tutta sul settore pubblico. In questo modo le aziende private guadagnano sul fatto che i nuovi entrati avranno salari più bassi di chi esce a fine carriera, e il conto lo paga lo Stato. Che poi in alcuni settori, per alcuni lavori gravosi ci sia un tema di flessibilità in uscita è riconosciuto ampiamente e interventi per queste categorie sarebbero compresi anche in Europa».