Ejectya, i lapilli di Giovanni Ambrosio in mostra a Somma Vesuviana e Nola

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L’Occhio di Leone, ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte, in Italia e all’estero, avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.

di Stefania Trotta

È in mostra fino a settembre allo spazio Amira di Nola e allo spazio Puteca di Somma Vesuviana, la doppia personale di Giovanni Ambrosio Eject-a/1 ed Eject-a/2 a cura di Christian Taranto.
Inaugurate in occasione di Liminaria – festival con un programma di residenze di sound art in Valle Caudina che quest’anno ha avuto come tema le Geologie culturali, intese come ricerca di una nuova ruralità, da riscoprire e valorizzare – entrambe affrontano il delicato messaggio dei frammenti.
Le mostre si sono aperte con la performance sonora Signal from noise, che l’artista ha registrato con il sound artist Phil St. George. Per l’occasione l’artista ha raccolto una serie di reperti archeologici naturali ed artificiali provenienti dal complesso vulcanico Somma- Vesuvio, tra cui pietre e vario materiale plastico e di recupero che è stato letteralmente suonato, in un’azione partecipativa con call aperta, anche dalla comunità presente.
D’altronde non siamo noi stessi dei frammenti?
Essere parte di un territorio complesso come quello vesuviano, vuol dire non solo viverlo ma sentirlo, sentire di farne parte, e l’arte può essere lo strumento che solidifica questo rapporto simbiotico, fatto di pulsioni e memorie.
Attraverso il suono, il risultato di una vibrazione, che unisce ed attrae più territori ad un punto magnetico, il Vesuvio, nasce un movimento fisico ma soprattutto viscerale che ci parla di un tempo – come ha detto Deleuze su Aion: “presente che riassorbe il passato e il futuro, un futuro e un passato che dividono ad ogni istante il presente, che lo suddividono all’infinito in passato e futuro, nei due sensi contemporaneamente.”
Il terzo orecchio, di cui parlava Theodor Reik, diventa necessario per l’ascolto, quale testimonianza dell’avvenuta ricezione di un messaggio che è parte portante dell’intero processo di riconoscimento, di un’ identità collettiva.
Queste sincronicità geologiche trovano eco in tutte quelle pietre gialle che sorreggono il territorio partenopeo, Il tufo che, come ci ricorda Giovanni Ambrosio con le sue calcografie, non è altro che la manifestazione della compattazione dei lapilli, schegge impazzite cariche di una potenza vitale che la natura, ogni tanto, ci ricorda di avere. 

Come ha detto il curatore, Christian Taranto: “Ambrosio utilizza il lapillo come metafora per indagare le dinamiche del movimento, del cambiamento e delle condizioni del vivere alle falde del Vesuvio, nell’apparente semplicità di un oggetto naturale. Questa pietra leggera, nera, decorativa e allo stesso tempo mortale, diventa il punto di partenza per un discorso artistico che abbraccia il concetto di migrazione non solo come spostamento fisico, ma anche come evoluzione delle forme e delle idee, sociali e politiche dell’hinterland Vesuviano.”

Questa eruzione esplosiva, Ejecta, dal latino “cose gettate”, diventa parte di un archivio che è la manifestazione di una potenziale rigenerazione culturale ed antropologica del territorio che, come si legge anche nel Saggio sul paesaggio di Georg Simmel, riportato in parte su un pannello in mostra: “… Noi avvertiamo perciò la vitalità di energie che spingono in direzioni opposte e, sentendo risuonare istintivamente in noi stessi questi contrasti, riusciamo a cogliere, al di là di ogni dimensione formale ed estetica, l’importanza della conformazione […] nel caso delle rovine si fronteggiano due parti dell’esistenza ancor più distanti fra loro. Ciò che ha diretto la costruzione verso l’alto è la volontà umana, mentre ciò che le dà il suo aspetto attuale è la forza meccanica della natura, che trascina verso il basso, corrode e distrugge. Tuttavia essa non fa crollare l’opera nell’assenza totale di forma della pura materia, almeno finché si parla di rovine e non di un mucchio di sassi; nasce una nuova forma che…”.