La logorante guerra di posizione del petrolio

100

Sul mercato del petrolio è in atto una logorante guerra di posizione, da cui, con una certa instabilità, discendono evidentemente, in modo direttamente o inversamente correlato, un po’ tutti gli andamenti dei corsi valutari ed in particolare di alcune commodities: oro, in primis, tanto più se inteso come bene rifugio per eccellenza.

Nel complesso gioco delle forze che determinano domanda e offerta di un bene, infatti, è evidente che il prezzo del greggio attualmente è sbilanciato dal lato dell’offerta. In altri termini, è la sovrapproduzione (ovvero la maggiore disponibilità rispetto al fabbisogno) che fa calare il prezzo del barile. Prezzo, peraltro – è il caso notare – che ormai è ad un livello (30 dollari) molto al di sotto dello stesso costo di estrazione (che infatti oscilla tra gli 80 e i 110 dollari al barile) e dunque non più conveniente per gli stessi produttori.

E allora chi glielo fa fare ai produttori di comportarsi in modo così antieconomico?

La guerra dei prezzi è cominciata coi paesi dell’Opec (il cartello dei produttori) che hanno provato dapprima a mettere fuori mercato il “petrolio di scisto” (in inglese shale oil) vale a dire, il petrolio non convenzionale prodotto dai frammenti di rocce di scisto bituminoso mediante un processo di dissoluzione termica, che ha garantito all’America un’inattesa rinascita energetica e, in ultima analisi, l’autosufficienza.

Quindi, da ultima, con l’abolizione dell’embargo, c’è stata anche l’irruzione sul mercato del petrolio iraniano a rendere più complicato il quadro e più difficile ogni ripensamento di politica economica del settore. È di appena ieri l’altro, peraltro, la bocciatura senza mezzi termini da parte del ministro del petrolio di Teheran, Bijan Namdar Zanganeh, che ha definito “ridicola” la proposta messa a punto da Russia, Arabia, Venezuela e Qatar di congelare la produzione, provocando un altro affondo delle borse mondiali.

Dunque, secondo Zanganeh la proposta avanzata dai quattro Paesi (i cui bilanci – è appena il caso di ricordare – si reggono quasi esclusivamente sulle vendite e dunque sulle entrate derivanti dal petrolio) pone “richieste irrealistiche” all’Iran. “E’ irrealistico – ha detto il ministro rivolto in particolare all’Arabia Saudita – perché arrivano con questa proposta di congelamento loro che producono 10 milioni di barili, contro l’Iran che ha in programma un aumento della produzione “di un milione di barili”. E ha aggiunto: “Se la produzione dell’Iran diminuisce, il nostro posto verrà preso dai paesi vicini“.

Ovviamente, sia pure indirettamente, la risposta dell’Arabia Saudita a Teheran non si è fatta attendere e, anzi, ha buttato altro petrolio – verrebbe da dire – sul fuoco, sostenendo che può convivere con un prezzo del petrolio ancora in calo fino a 20 dollari.

Insomma, stando così le cose – e tralasciando di rispondere alla domanda: “cui prodest?”  perché intanto s’è capito – se il prezzo del  petrolio continuerà a scendere in compenso continuerà a salire quello dell’oro. Come avviene in tempi di guerra, appunto.