Svimez: La crescita in Italia rallenta ma edilizia e servizi spingono il Sud oltre la media nazionale

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in foto Luca Bianchi

Nel 2023 la crescita italiana rallenta, ma resta sopra la media europea, sostenuta dalle politiche 2021-22 di accompagnamento alla ripresa e dagli investimenti del Pnrr. La congiuntura è differenziata tra regioni e settori. L’espansione di costruzioni e servizi spinge la crescita meridionale oltre la media nazionale. La frenata dell’industria rallenta il Nord e, soprattutto, il Centro, che soffre anche la debolezza dei servizi. Cresce l’occupazione, ma i salari perdono potere d’acquisto. La fase di rientro dalle politiche di bilancio espansive va gestita salvaguardando le priorità dell’inclusione sociale e del rilancio degli investimenti pubblici e privati. E’ quanto si legge nel Report presentato stamattina a Roma e intitolato significativamente “L’anno della crescita differenziata. Le Regioni italiane nel 2023”. La relazione è stata presentata, dopo l’introduzione del direttore della Svimez, Luca Bianchi, da Fedele De Novellis (partner Ref) e Serenella Caravella (ricercatrice Svimez). Hanno discusso Francesco Saraceno (vice direttore all’Ofce Sciences Po) e Aline Pennisi (direttore generale Unità di missione Ngeu, Ragioneria generale dello Stato). Ha concluso Adriano Giannola (presidente Svimez).

Il Report presenta le stime Svimez sull’andamento nel 2023 del Pil nelle regioni italiane, guardando alla scomposizione settoriale del valore aggiunto e ai contributi alla crescita delle diverse componenti della domanda. Le analisi vengono collocate nel più ampio arco temporale 2019-2023 e arricchite da un’analisi territoriale degli andamenti dell’occupazione e delle sue caratteristiche qualitative. Viene inoltre dedicato un approfondimento agli impatti territoriali delle politiche adottate per far fronte alla crisi Covid e allo shock energetico.

Le stime territoriali del Pil e degli altri aggregati macroeconomici si basano sull’integrazione di un’ampia e articolata struttura di dati, che tende a “replicare” la metodologia impiegata dall’Istat, seguendo due step. In primo luogo, vengono stimate le diverse variabili macroeconomiche sulla base di un set informativo disaggregato al livello settoriale più fine consentito dalle statistiche ufficiali disponibili a livello regio- nale. Ad esempio, il valore aggiunto è stimato sulla base delle informazioni desunte dai bilanci di un panel rappresentativo di imprese attive in 29 branche produttive e dei servizi coerente con i dati strutturali di fonte Frame-Istat. Successivamente, gli aggregati economici così stimati vengono inclusi in qua- dri contabili macroeconomici (Contabilità territoriale, Reddito Disponibile, Conto della PA, ecc.) vincolati agli aggregati na- zionali di fonte Istat. In alcuni casi, i “Conti” sono realizzati ex novo dalla Svimez, come nel caso dei Conti regionali della PA; in altri, la SVIMEZ aggiorna i “Conti” regionali Istat (è questo il caso, ad esempio, del reddito disponibile delle famiglie).

Nel 2023, il PIL italiano è cresciuto del +0,9%. La crescita delle regioni meridionali è stata superiore a quella delle al- tre macroaree: +1,3% contro +1% del Nord-Ovest, +0,9% del Nord-Est e +0,4% del Centro. Il Sud non cresceva più del resto del Paese dal 2015, quando il differenziale di crescita favore- vole al Mezzogiorno fu determinato anche dall’accelerazione della spesa per investimenti pubblici connessa alla fine del ci- clo di programmazione 2007-2013. Andando più indietro negli anni, la crescita del PIL meridionale è stata superiore al dato del Centro-Nord anche nel triennio 1997-99, ma con un differenziale sensibilmente più contenuto.
Nel 2023, la crescita più accentuata del PIL meridionale è stata sostenuta soprattutto dalle costruzioni (+4,5%), qua- si un punto percentuale in più della media del Centro-Nord, e da un’espansione dei servizi del +1,8% (+1,6% il Centro-Nord). Tra le regioni meridionali, emerge in particolare la variazione positiva del PIL siciliano (+2,2%); più bassa la crescita in Basi- licata (+0,9%) e Puglia (+0,7%).
Al Nord, soprattutto nel Nord-Ovest, l’arretramento del valore aggiunto industriale e lo stimolo più contenuto eser- citato dalle costruzioni hanno rallentato la crescita nel 2023. Si segnala la crescita di Piemonte (+1,2%) e Veneto (+1,6%); in negativo il Friuli-Venezia Giulia (-0,2%), mentre la Lom- bardia è cresciuta in linea con la media nazionale (+0,9%) e l’Emilia-Romagna tre decimi di punto percentuale al di sotto (+0,6%).
Nelle regioni centrali, il calo del valore aggiunto industriale e il rallentamento dei servizi hanno sterilizzato l’effetto espan- sivo delle costruzioni. Negativo il dato di Toscana (-0,4%) e Marche (-0,2%); solo +0,3% l’Umbria, mentre il Lazio è cresciuto oltre la media nazionale (+1,1%).

La congiuntura del 2023 completa la fase di ripresa post-Covid, iniziata nel 2021, che ha visto il Mezzogiorno par- tecipare attivamente alla crescita nazionale, collocandosi stabilmente al di sopra della crescita media europea. Il dato di crescita cumulata 2019-2023 del PIL meridionale (+3,7%) ha superato la media nazionale (+3,5%), quest’ultima, sintesi di andamenti differenziati nel Centro-Nord: il Nord-Est è cre- sciuto del +5,1%, il Nord-Ovest del +3,4%, molto più indietro il Centro (+1,7%).
Il quinquennio 2019-2023 è stato caratterizzato da un si- gnificativo cambio del quadro macroeconomico, in Europa e in Italia, e dall’adozione di diverse misure di politica economica di carattere straordinario – rese possibili dalla sospensione del Patto di Stabilità e Crescita – che hanno influenzato le ten- denze dell’economia delle regioni italiane. Nel loro insieme, le misure avviate dal 2020 hanno evitato, al Sud, il manifestarsi di eventi recessivi prolungati come quelli caratteristici della “lunga crisi” (2008-2014).
Per il comparto delle costruzioni, il 2023 è stato un anno di transizione dalla spesa privata stimolata dal superbonus, i cui effetti si sono concentrati nel biennio 2021-2022, a quella pubblica, soprattutto degli enti locali, a valere sul PNRR. Gli investimenti pubblici in costruzioni (a prezzi correnti) sono cresciuti, nel 2023, del +41,5% a livello nazionale. Secondo le stime SVIMEZ, l’accelerazione è stata più intensa al Centro (+56,1%), seguito dal Mezzogiorno (+50,1%); più staccate, le due macroaree del Nord: +28% nel Nord-Ovest e +32,7% nel Nord-Est. Com’è noto, gli investimenti in opere pubbliche si caratterizzano per un’elevata capacità di attivazione nei con- fronti del resto del sistema economico, per di più fortemente circoscritta sotto il profilo territoriale. Nel 2023, quasi il 40% della crescita complessiva dell’area meridionale è da attribuire a questa specifica componente.
La crisi pandemica ha interrotto il quinquennio di cre- scita dell’occupazione (2015-2019) successivo alla “lunga crisi” (2008-2014), che ha interessato prevalentemente il Centro-Nord. Dal secondo trimestre del 2021, si è avviata una fase di decisa ripresa che si è protratta a tutto il 2023, pro- seguendo anche nei primi mesi dell’anno in corso. Guardando all’intero periodo 2019-2023, in termini percentuali la crescita complessiva è stata più accentuata nel Mezzogiorno (+3,5%; +2,0% al Centro, +1,7% nel Nord-Est, +1,0% nel Nord-Ovest). In valore assoluto, il 45% degli occupati in più sul pre-pandemia (471mila a livello nazionale) si concentrano nel Mezzogiorno: 213mila (+98mila nelle regioni centrali, +89mila nel Nord-Est,

+71mila nel Nord-Ovest). Solo Piemonte (-0,6%), Emilia-Ro- magna (-0,1%), Sardegna (-0,9%) e Molise (-2,0%) non hanno recuperato i livelli occupazionali del pre-pandemia. Le regioni più dinamiche risultano Puglia (+6,3%), Liguria (5,2%) e Sicilia (+5,2%), seguite da Campania (+3,6%) e Basilicata (+3,5%).

La ripresa dell’occupazione si è accompagnata con la posi- tiva evoluzione di alcuni aspetti qualitativi, quali gli incrementi che hanno interessato le fasce di lavoratori con contratto a tempo indeterminato e a tempo pieno. Tutto ciò si è riflesso in un miglioramento di tutti gli indicatori del mercato del lavoro, sostanzialmente in linea con quanto avvenuto per la media Ue a 27 paesi. Un miglioramento che però sconta il problema strutturale di salari reali bassi e calanti: il calo del potere d’acquisto dei salari osservato nel 2020 è stato più marcato in Italia e il recupero del biennio 2021-22, legato ai rinnovi con- trattuali, non ha consentito di tornare sui livelli del pre-pan- demia. L’Italia è l’unica tra le maggiori economie europee con retribuzioni reali al di sotto dei livelli del 2013 (-5,5%; -8,1% nel Mezzogiorno).

La “questione salariale” pesa sulle prospettive di crescita. Dal 2021, le principali misure di policy di accompagnamento alla ripresa – sostegno ai redditi delle famiglie e agli inve- stimenti in costruzioni – hanno garantito una soddisfacente tenuta della domanda, con impatti territoriali omogenei. Il venir meno di queste misure inevitabilmente condizionerà il contributo alla crescita della domanda interna, rallentando ulteriormente il ritmo della ripresa. La fase di rientro dalle politiche di bilancio espansive va gestita salvaguardando le priorità dell’inclusione sociale e del rilancio degli investimenti pubblici e privati.

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