Dagli editoriali ASviS, il futuro della mobilità è elettrico se sapremo superare le resistenze

Foto di Tom da Pixabay

Si riporta di seguito il testo integrale dal sito ASviS di Flavia Belladonna di venerdì 5 luglio 2024.

Fake news, interessi dei produttori di fossili e politiche poco concrete rischiano di rallentare la transizione, ma la scienza ci spiega perché le auto elettriche non sono “follie green”. Di fronte al Pniec, le associazioni ambientaliste chiedono al governo piani più ambiziosi e realistici.

I veicoli elettrici sono vicini al tipping point, ovvero il punto di svolta per l’adozione di massa”, si legge sul Guardian. La Cina, che traina il settore, questo lo ha capito bene. L’intero mercato cresce a ritmi sostenuti, eppure persistono diverse forti resistenze, anche perché l’auto elettrica presenta una serie di ostacoli evidenti anche ai cittadini, come la durata delle batterie e i costi di acquisto più elevati rispetto alle vetture tradizionali, anche se i costi di gestione sono nettamente inferiori a queste ultime. Il futuro della mobilità su gomma è dunque elettrico oppure siamo di fronte a un’ideologia green irrealizzabile?

Come siamo soliti fare in ASviS, proviamo ad affrontare la questione a partire da dati, studi ed evidenze scientifiche, limitandoci qui al solo settore automobilistico e non a quello “automotive”, che comprende anche le moto e i veicoli commerciali, leggeri e pesanti. Inoltre, ci concentriamo sulle automobili private, ma va notato che la transizione ad una mobilità sostenibile implica un profondo cambiamento del sistema complessivo della mobilità pubblica e privata, soprattutto nelle aree urbane.

Sulle vetture elettriche ci sono alcune sfide reali, che richiedono un forte impegno da parte del governo, ma anche del sistema industriale, a fronte di vantaggi evidenti sul piano ambientale. Accanto a tali sfide, esiste una notevole quantità di propaganda politica, ma anche da parte di soggetti economici che hanno interessi in questo settore, che hanno reso il dibattito su questo tema estremamente confuso e basato spesso su fake news. Proviamo ad andare con ordine.

È del tutto evidente che una transizione di un settore che produce un bene di largo consumo, necessario per molti, legato all’immaginario collettivo con cui la generazione adulta e anziana è cresciuta, che impiega (direttamente o indirettamente) centinaia di migliaia di lavoratori è un processo molto complesso e multidimensionale, anche sul piano culturale. In primis, c’è la questione del disegno di una politica industriale, nazionale ed europea, che deve porre le condizioni per una fornitura sicura e adeguata delle materie prime, dei prodotti finiti e dell’infrastruttura destinata ad alimentare auto elettriche o a idrogeno, le uniche attualmente in grado di rispettare le regole europee, che dal 2035 impongono la vendita di veicoli nuovi a emissioni zero “al tubo di scappamento”, nel rispetto del criterio della “neutralità tecnologica”, nonostante quello che spesso si afferma dai critici delle politiche Ue. Con colpevole ritardo, le recenti iniziative europee volte ad accrescere l’autonomia strategica e la disponibilità di materie prime strategiche vanno nella direzione di condurre una politica industriale più dinamica, in quanto prevedono di far crescere la produzione europea di batterie, pale eoliche, pannelli solari, ecc., ma anche contro la concorrenza sleale da parte della Cina attraverso dazi sulle auto elettriche prodotte in tale Paese.

D’altra parte, non c’è dubbio che un’auto elettrica richiede meno componenti, richiede minore manutenzione, dura di più, ecc. Il che vuol dire che, a parità di auto prodotte, la quantità di materie prime e di lavoro è inferiore rispetto all’attuale volume. Quindi, è in mano ai governi anche la gestione della ricollocazione dei posti di lavoro che si potrebbero perdere con la transizione nel settore automobilistico, un aspetto su cui il tempo ancora c’è e che quindi va subito affrontato.

Detto questo, va ricordato che i trasporti contribuiscono a circa il 30% delle emissioni totali di gas climalteranti e di altri inquinanti dell’Ue (in netto aumento rispetto al 17% del 1990 e con una previsione di arrivare al 44% nel 2030, senza modifiche alle politiche), fenomeni che, lo ricordiamo, provocano circa 300mila morti premature all’anno per malattie legate all’inquinamento. Inoltre, sulla transizione all’elettrico molte resistenze sono anche il frutto di scarse conoscenze e fake news. Vediamo allora, rispetto a una serie di punti spesso citati nel dibattito pubblico, le “credenze” che circolano nella società italiana e che possono rendere più difficile un approccio serio e scientifico al problema.

Le auto elettriche hanno dei prezzi proibitivi. Anche se gli alti costi di acquisto possono spaventare molti possessori di auto, soprattutto quelli a basso reddito, è bene ricordare che le nuove tecnologie nascono sempre con dei prezzi poco accessibili. Negli anni Ottanta, un cellulare costava quasi 4mila dollari ed era inaccessibile per la maggior parte della popolazione. I prezzi delle auto elettriche, come avvenuto per i cellulari, anni dopo anno si stanno abbassando. Secondo uno studio dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), “in Europa e negli Stati Uniti, le auto elettriche rimangono dal 10% al 50% più costose rispetto alle equivalenti con motore a combustione, a seconda del Paese e del segmento automobilistico, ma le tendenze attuali suggeriscono che la parità di prezzo potrebbe essere raggiunta entro il 2030”. Ad esempio, i prezzi delle batterie al litio sono scesi da 1.400 dollari per kilowattora nel 2010 a meno di 140 dollari per kilowattora nel 2023, mettendo a segno una delle riduzioni più rapide e consistenti mai osservate nel panorama energetico grazie ai progressi ottenuti nel campo della ricerca e dello sviluppo e per via delle economie di scala che hanno reso sempre più conveniente la produzione di questa tecnologia. Inoltre, come già avviene per le auto tradizionali, il sistema finanziario – grazie alla rateazione – svolge proprio il ruolo di cuscinetto tra il desiderio di acquisto e la disponibilità economica delle persone, e lo svolgerà tanto più in questo caso visto che i costi di gestione di un’auto elettrica sono inferiori a quelli di un’auto tradizionale.

I lunghi tempi di ricarica, le scarse infrastrutture e la bassa autonomia rendono le auto elettriche inutilizzabili. I cellulari degli anni Ottanta avevano una batteria adatta solo per 30 minuti di chiamata. Le case automobilistiche stanno cercando di trovare soluzioni sempre più avanzate a questo problema, come la sostituzione delle tradizionali batterie agli ioni di litio con delle “superbatterie” (batterie allo stato solido) in grado di offrire un’autonomia di 1.200 chilometri (il doppio di quelli attuali) e tempi di ricarica in 10 minuti. Inoltre, procede a ritmo serrato l’installazione di colonnine di ricarica pubblica in Italia, più che raddoppiate negli ultimi due anni. Al 31 marzo 2024 risultano installati 54.164 punti di ricarica, l’Italia è ai primi posti in Europa nel rapporto tra auto elettriche circolanti e colonnine disponibili, anche se persiste una spaccatura territoriale: il 58% dei punti totali si trovano nel Nord, il 42% tra Centro e Sud del Paese.

Le auto elettriche inquinano più di quelle tradizionali. dati di Transport & Environment, la Federazione europea per il trasporto e l’ambiente, ma anche quelli di altri centri di ricerca indipendenti, mostrano che un’automobile elettrica emette in media tre volte in meno rispetto a una tradizionale, e questa superiorità viene confermata anche guardando all’intero ciclo di vita del prodotto (visto che produrre un’auto comunque comporta emissioni) e considerando la produzione e lo smaltimento delle batterie, sebbene in questo caso vada tenuto presente che il litio usato per costruirle può (e lo sarà sempre di più) essere riutilizzato (a differenza dei materiali usati per le auto tradizionali). Come sottolineato da James Ellsmoor, divulgatore scientifico della rivista Forbes, “i veicoli con motore a combustione non sono in grado di competere”. “Le economie di scala andranno a vantaggio della produzione di veicoli elettrici fornendo infrastrutture migliori, tecniche di produzione più efficienti, opzioni di riciclaggio e riducendo la necessità di estrazione di nuovi materiali”, afferma ancora Ellsmoor, “I veicoli elettrici non sono una panacea, ma combinati con una maggiore diffusione delle energie rinnovabili e la decarbonizzazione della rete elettrica offrono un percorso per ridurre notevolmente le emissioni di gas serra”.

Sono meglio i biocarburanti. Come ASviS, grazie al lavoro del Gruppo di lavoro sul Goal 11 “Città e comunità sostenibili”, abbiamo pubblicato un Position Paper dedicato alla decarbonizzazione dei trasportiin cui i nostri esperti hanno illustrato chiaramente che l’elettrificazione dei mezzi di trasporti terrestri su gomma e su ferro permette “un maggior incremento dell’efficienza energetica e della decarbonizzazione del settore rispetto a uno scenario fondato sui biocarburanti”. Quindi, bisogna puntare sull’elettrificazione per tutti i mezzi possibili, “concentrando lo sviluppo dei biocarburanti ‘avanzati’, dell’idrogeno verde o dei combustibili sintetici di origine non biologica (Rfnbo) sui trasporti navali e aerei non elettrificabili”. In particolare, il Paper mette in allerta sulle false rinnovabili: “Di 1552 Ktep [tonnellate equivalenti di petrolio, ndr] di biocarburanti immessi sul mercato in Italia, la maggior parte, circa 900 Ktep, sono fortemente sospetti di non essere realmente rinnovabili, il che comporta talvolta emissioni complessive di gas a effetto serra persino superiori ai derivati dal petrolio”.

Non ci sono materie prime sufficienti. La nuova corsa all’estrazione di materie prime sta coinvolgendo tutto il globo, con la domanda di quelle per produrre energia pulita che nel 2040 sarà sei volte maggiore di quella del 2020. I giacimenti di terre rare, litio, nickel, cobalto e tutti gli altri materiali per la transizione energetica (che in gran parte sono necessari anche per la transizione digitale, ma nessuno ricorda questo semplice fatto nel dibattito pubblico, ne c’è chi usa questo argomento per cercare di frenare la digitalizzazione dei processi e dei prodotti) sono concentrati prevalentemente in alcune zone del mondo, ma l’Unione europea sta muovendo dei passi concreti verso l’apertura e la riapertura di miniere per diminuire la sua dipendenza dall’importazione. A marzo 2023 la Commissione europea ha catalogato 34 materie prime critiche necessarie all’Ue per realizzare la transizione ecologica, di cui 16 presenti anche nel territorio italiano, e posto traguardi al 2030 per assicurarne l’approvvigionamento. Ne abbiamo parlato a fondo in questo focus su FUTURAnetwork.

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NICOLA ARMAROLI SMASCHERA LE FAKE NEWS SU AUTO ELETTRICHE, FOTOVOLTAICO E CASE GREEN

Accanto al tema delle fake news e alle narrazioni distorte si aggiunge il sostegno politico a chi vuole rallentare la transizione anziché accelerarla. Per questo è necessario realizzare un intenso lavoro di informazione per convincere l’opinione pubblica che non siamo di fronte a “follie green”, ma a scelte inevitabili da compiere con urgenza che potrebbero portare benefici economici, sociali e ambientali, oltre che ridurre i costi in termini di salute del Pianeta e soprattutto umana, evitando di rimanere indietro rispetto agli altri grandi Paesi. Purtroppo, grazie ai messaggi inviati da molti opinion leader e alle scelte politiche, questo sta già avvenendo, se si pensa che l’Italia è fanalino di coda tra i grandi mercati europei dell’auto per la vendita delle vetture elettriche: in Olanda si raggiunge una quota del 30,17%, seguono Belgio (22,82%), Francia (17,79%), Regno Unito (15,76%), Germania (11,88%) e Spagna (4,65%), mentre l’Italia arranca con appena il 2,78% (dati Motus-E). Per non parlare della Cina, dove si registra quasi il 60% delle immatricolazioni di auto elettriche a livello mondiale, contro il 25% dell’Europa e il 10% degli Stati Uniti, grazie alla cui diffusione le città cinesi stanno divenendo molto più vivibili.

In un articolo di Andrea Poggio, Legambiente e membro del Gruppo di lavoro ASviS sul Goal 11, pubblicato sul Quaderno della Sicurezza n.2/2024 di Aifos, si legge:

È ormai evidente che la disputa tra fautori della benzina e del gas e quelli dell’elettrico, che impegna politica e media, non solo non aiuta la transizione ecologica, ma aggrava i rischi occupazionali e i costi sociali, attuali e futuri, per tutti gli italiani. Lo sciopero dei lavoratori metalmeccanici del 12 aprile 2024 ha chiesto, giustamente, al governo di adottare finalmente una politica industriale coerente e lungimirante. Non si può osteggiare l’elettrico e poi invitare i cinesi a produrre auto in Italia”.

Se non vogliamo rimanere indietro, il governo deve puntare con maggiore forza sull’elettrico. Così come, ampliando il discorso a tutta la questione della transizione energetica, è indispensabile accelerare gli investimenti nelle rinnovabili (coerentemente con le conclusioni del G7 a presidenza italiana), anche per aumentare davvero l’indipendenza e la sicurezza energetica, cosa che non sta accadendo e non accadrà alla luce della versione finale del Piano integrato energia e clima (Pniec), inviato dal governo italiano alla Commissione europea il primo luglio. Il Piano punta a 131 GW di rinnovabili entro il 2030, ma anche ad “almeno l’11% del fabbisogno elettrico nazionale soddisfatto dall’atomo per il 2050”. Le associazioni ambientaliste Greenpeace Italia, Kyoto club, Legambiente, Transport & Environment e Wwf Italia hanno definito “irrazionale” il testo che si affida ancora a gas e nucleare (quest’ultimo ritenuto tra l’altro pericoloso dal 75% degli italiani), lamentando anche la mancanza di un target specifico di riduzione delle emissioni di CO2 e sottolineando che il Piano “punta ancora una volta su false soluzioni (come la cattura e lo stoccaggio della CO2) nascondendosi dietro ‘al dito’ della neutralità tecnologica. La luna degli interessi fossili appare ben chiara. Questo rischia di penalizzare fortemente il nostro Paese, sia sul piano della sicurezza e indipendenza energetica, sia per le opportunità e gli investimenti nella transizione che preclude”.

Anche Ecco, think tank italiano per il clima, ha presentato la sua “pagella” sul Pniec, la quale segnala che il documento: non ha forza legale né un impianto attuativo coerente, con risorse e valutazioni di impatto delle politiche non chiarite, mancano una visione del percorso di transizione energetica e di trasformazione industriale nella decarbonizzazione, non sono individuate strategie per l’abbandono delle fonti fossili, l’ambizione delle rinnovabili non è supportata dallo sviluppo di un quadro coerente di politiche comportando rischi di prezzi dell’energia elettrica non competitivi e l’elettrificazione non è individuata come leva per la decarbonizzazione. Un giudizio complessivamente molto negativo su un Piano che definisce la politica energetica e ambientale del nostro Paese verso la decarbonizzazione e che ricordiamo avere un ruolo centrale per il raggiungimento degli obiettivi europei sul clima (Fir for 55) e per l’Accordo di Parigi. Tra l’altro, nel nostro Paese, a differenza di molti altri in Europa, manca una Legge sul Clima, più volte sollecitata dall’ASviS. Così come abbiamo chiesto al governo, e continueremo a chiedere, documenti in grado di dimostrare un reale impegno verso la transizione. Per citare Battisti, non può esserci contraddizione tra “pensieri e parole”, o meglio tra pensieri, strategia e azioni, soprattutto quando è in gioco il futuro del mondo, del nostro Paese e, guardando bene, di ognuno di noi.