L’Europa dei paradossi. Tra Schengen e complotti

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C’è dello schizofrenico nella costruzione di questa Europa che, da una parte, inneggia a Schengen – inteso come l’accordo di libero spazio di 26 paesi del Vecchio continente, all’interno del quale non ci sono più frontiere ad impedire o comunque rallentarne la libera circolazione di cittadini e merci – e dall’altra si ergono muri, cavalli di Frisia e barriere di filo spinato per impedire l’ingresso a intere popolazioni di disperati che fuggono da oppressione, guerre e fame. Un’Europa – ed è questa, però, la notizia della settimana passata, in verità, quasi sotto silenzio – che da una parte si dice unita e dall’altra traccia nuovi confini tra gli Stati membri. 

Insomma, dopo la penosa chiusura delle porte in faccia agli immigrati (è vero, si dovrebbe intervenire sulle cause dell’esodo biblico che ci assegna, nostro malgrado, il ruolo di terra promessa: ma l’Ue, purtroppo, non ha, tra le altre, neanche una politica estera) a dir poco disorienta – eccome – la notizia secondo cui la Francia negozia e ottiene dall’Italia un pezzo del “Mare Nostrum”. Perché poi, al di là del miglio marino in più o in meno che i pescatori della Liguria e della Sardegna potranno sfruttare, il paradosso è proprio questo: all’interno dell’Unione Europea i pescherecci italiani vengono ora accusati dalla gendarmeria francese di aver violato il limite delle loro assai pescose acque territoriali.
E dire che la trattativa con la Francia è stata avviata, condotta e conclusa da governanti italiani – Prodi, Letta, Monti e Renzi – che si sono sempre detti europeisti convinti. E che, anzi – con buona pace, magari, soltanto del giovane e assai polemico Matteo – hanno avuto ruoli non di non poco conto anche tra le stanze dei Palazzi del potere di Bruxelles e Strasburgo.
Oddio, alla fine sulla scrivania, l’attuale ministro italiano degli Esteri Paolo Gentiloni si è ritrovato quasi inconsapevolmente il documento da firmare, ma tant’è. Sta di fatto che la cosa sarebbe passata sotto silenzio se la gente che vive di mare e di pesca non avesse alzato la voce e gridato allo scandalo. E, però, siccome il trattato non è stato ancora ratificato dal Parlamento, magari si può anche rimediare. Vedremo.
Per intanto, sempre dai palazzi dell’Europa Unita e dai circoli sovranazionali che contano, nei confronti dei quali continua ad alzare la voce, il premier sembra doversi guardare non poco le spalle. Questa settimana, infatti, sui giornali è tornata a circolare l’ombra del complotto, lo stesso che defenestrò Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi nel 2011.
Dunque, in sequenza, è avvenuto che: 1) il senatore ex premier Mario Monti – da taluni definito il “professore Bilderberg” per la sua appartenenza all’esclusivo gruppo di influenti persone che si riunisce una volta all’anno per “riflettere” sulle sorti del mondo – dopo un periodo di lungo silenzio, è tornato a parlare e duramente contro il governo; 2) quasi contemporaneamente su Financial Times, New York Times e Frankfurter Allgemeine – vale a dire, i tre giornali più influenti del Globo – sono apparsi tre editoriali che hanno marcato l’ostilità dei paesi amici noni confronti, appunto, dell’attuale presidente del Consiglio; 3) come se non bastasse, l’Ocse ha tagliato le stime sul Pil 2016 dell’Italia e 4) i magistrati della Corte dei conti – in apertura dell’anno giudiziario – hanno ricordato che “la fase è delicata, i margini di flessibilità europea sono stati interamente utilizzati”.
Insomma, se due indizi restano tali e il terzo costituisce una prova, figuriamoci il quarto. E tutto questo mentre il Parlamento e più ancora la maggioranza di governo, si sono praticamente impantanati sulla legge delle unioni civili, cui – giusto o sbagliato che sia – ha fatto da contrappeso la notizia, poi smentita dal ministro Padoan, della rivisitazione dei parametri delle pensioni di reversibilità a favore del coniuge superstite.
Non solo. A rendere più invelenita l’aria che la pubblica opinione respira è stata anche la notizia – ma già si sapeva – pubblicata questa volta con enfasi dai media, delle tasse locali che in venti anni sono addirittura triplicate, passando dal 1995 al 2015 da 30 a 103 miliardi. E, guarda caso – fa notare il Centro studi dei Confcommercio-Cer che ha redatto il rapporto – si paga di più nelle città dove si registrano più scandali e la qualità dei servizi è parallelamente più scadente, se addirittura inesistenti.