Moda: calzature, nel 2015 più occupati ma meno produzione

76

Qualche luce, molte ombre e un primo semestre del 2016 giocato in difesa: il settore calzaturiero si presenta all’appuntamento con theMICAM, la fiera della calzatura di fascia medio e medio alta in programma in Fiera Milano dal 14 al 17 febbraio, ancora in affanno. Così lo ha descritto il direttore generale di Assocalzaturifici Tommaso Cancellara, presentando il preconsuntivo 2015 del settore. Se da un lato l’anno che si è appena chiuso ha visto per la prima volta dal 2011 un saldo attivo degli occupati (+432 addetti) favorito dalle misure di stabilizzazione previste nel Jobs Act, dall’altro la produzione è scesa del 2,9% in volume (a 191,2 milioni di paia) e dello 0,7% in valore. Rimane positivo l’export, cresciuto lo scorso anno del 2% malgrado una contrazione del 4,8% in volume e il rallentamento dei mercati extra-UE, che avevano trainato il comparto dopo la crisi mondiale del biennio 2008-2009. La complessa fase di mercato è caratterizzata – si legge nella nota stilata da Assocalzaturifici – dai consumi asfittici in Italia e in Europa, dalla frenata del Far East (per la crisi economica giapponese e le turbolenze finanziarie in Cina) e, soprattutto, dal crollo della domanda in Russia e nei Paesi dell’area CSI. Per quanto riguarda l’Italia, nel 2015 i consumi di calzature, elaborati da Assocalzaturifici sulla base del Fashion Consumer Panel di Sita Ricerca, sono scesi dell’1,2% in quantità e del 2,4% in spesa, con prezzi medi in ribasso dell’1,3%. Per l’estero, invece, i dati Istat per i primi 10 mesi 2015 evidenziano un incremento delle esportazioni dell’1,5% in valore, accompagnato però da un arretramento del 5,2% in volume, con un prezzo medio salito a 40,79 euro/paio (+7,1%). Note positive vengono dalla Svizzera (+14,5% in valore e +3,1% in quantità), dal Medio Oriente (+7,4%, benché stabile in volume), e dagli Stati Uniti (+16,4% e +5,1% rispettivamente). La situazione più critica si è rivelata – come nel 2014 – quella dei mercati dell’ex-Unione sovietica, dove le vendite si sono ridotte nel complesso di circa un terzo, sia in quantità che in valore: in Russia il decremento è stato del 32% in volume, in Ucraina del 44,6%, in Kazakistan del 23,6%.